BURKINA FASO
Quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione
La Costituzione del Burkina Faso, adottata originariamente nel 1991 e modificata nel 2015, ha subito ulteriori revisioni nell’ottobre 2022 con l’introduzione di una Carta di transizione da parte del nuovo Presidente della transizione, Ibrahim Traoré[1]. Questi ha inoltre annunciato una “modifica parziale” della Costituzione, da lui criticata in quanto rappresentativa «delle opinioni di una manciata di individui illuminati» piuttosto che «delle masse popolari». Ulteriori emendamenti sono stati approvati nel dicembre 2023[2] e successivamente nel maggio[3] e nell’ottobre 2024[4].
Tali revisioni hanno riguardato principalmente l’assetto istituzionale del Paese e non hanno modificato le disposizioni costituzionali in materia di libertà religiosa.
La Costituzione continua a definire il Burkina Faso come una Repubblica laica, che non concede privilegi a nessuna confessione religiosa e garantisce piena libertà religiosa ai suoi cittadini. L’articolo 1 vieta ogni forma di discriminazione, compresa quella basata sulla religione, affermando: «Ogni forma di discriminazione, in particolare quella fondata su razza, etnia, regione, colore, sesso, lingua, religione, casta, opinioni politiche, ricchezza e nascita, è proibita»[5].
L’articolo 7 sancisce la libertà religiosa dichiarando: «La libertà di credo, di non credo, di coscienza, di opinione religiosa, di filosofia, di esercizio del culto, la libertà di riunione, la libera pratica delle consuetudini nonché la libertà di processione e di manifestazione sono garantite dalla presente Costituzione, nel rispetto della legge, dell’ordine pubblico, della morale e della dignità della persona umana»[6].
L’articolo 23 definisce la famiglia come «cellula base della società» e vieta la discriminazione religiosa «in materia di matrimonio», il quale deve basarsi «sul libero consenso» di entrambi i coniugi e deve essere privo di discriminazioni «fondate su razza, colore, religione, etnia, casta, origine sociale [e] ricchezza»[7].
Le comunità religiose possono registrarsi presso le autorità attraverso il Ministero dell’Amministrazione Territoriale e della Decentralizzazione, responsabile degli affari religiosi, ma non sono obbligate a farlo. La registrazione è soggetta agli stessi requisiti previsti per le altre organizzazioni riconosciute[8].
L’insegnamento religioso non è consentito nelle scuole statali, ma nel Paese operano scuole primarie e secondarie private islamiche, cattoliche e protestanti, nonché alcune istituzioni di istruzione superiore d’ispirazione religiosa. Tali istituzioni godono di ampia autonomia nella gestione del personale, anche se la nomina dei dirigenti scolastici deve essere notificata alle autorità competenti. Lo Stato esamina i programmi educativi degli istituti gestiti da comunità religiose, valutandone l’orientamento confessionale e la conformità al curriculum accademico nazionale. Nel caso delle scuole coraniche, tuttavia, il controllo statale risulta scarsamente efficace, poiché la maggior parte delle madrase non è registrata[9].
Nel 2023, il governo ha destinato 127.000 dollari a ciascuna delle comunità musulmana, cattolica, protestante e animista, con l’intento di promuovere un trattamento equo tra i diversi gruppi religiosi. Tuttavia, nessuno dei contributi era stato effettivamente erogato entro la fine dell’anno[10].
L’11 ottobre 2024, a Ouagadougou, la Santa Sede e il Burkina Faso hanno firmato il Secondo Protocollo Aggiuntivo all’accordo del 2019 sullo status giuridico della Chiesa cattolica. Entrato immediatamente in vigore, il protocollo facilita il riconoscimento delle persone giuridiche pubbliche canoniche secondo il diritto burkinabé, permettendo il rilascio di certificati di personalità giuridica. La misura intende rafforzare la missione della Chiesa e il suo contributo al bene comune[11]. L’accordo originario – firmato in Vaticano il 12 luglio 2019 ed entrato in vigore con la ratifica del 7 settembre 2020 – riconosceva la Chiesa cattolica e le sue istituzioni quali soggetti di diritto pubblico, definendo il quadro della cooperazione tra Chiesa e Stato[12].
Episodi rilevanti e sviluppi
Un tempo considerato un modello di armonia interreligiosa in Africa occidentale, il Burkina Faso ha registrato un profondo deterioramento delle condizioni di sicurezza a partire dalla fine del 2015, diventando uno dei principali epicentri della violenza jihadista nella regione del Sahel. Inizialmente penetrati nel nord del Paese dal vicino Mali, i gruppi estremisti hanno progressivamente esteso la loro presenza alle regioni occidentali, centrali ed orientali[13].
Tra i principali gruppi attivi figurano la Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico (ISWAP) e Jama‘at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), affiliato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI). Secondo il Global Terrorism Index, il Burkina Faso è risultato, nel 2023, il Paese più colpito al mondo dal terrorismo, posizione confermata anche nel 2024[14].
Attualmente operano su tutto il territorio del Burkina Faso diverse fazioni jihadiste. Tra queste, Jama‘at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM) si conferma come la più dominante, seguita dallo Stato Islamico nella Provincia dell’Africa Occidentale (ISWAP) e da Ansarul Islam. Sebbene mantengano legami con reti jihadiste transnazionali, questi gruppi adottano modalità di violenza ibride, che combinano estremismo ideologico, insurrezione localizzata e crimine organizzato. Il conflitto si è ulteriormente intensificato a causa degli scontri ricorrenti tra queste formazioni armate e le forze statali, comprese l’esercito e la milizia filogovernativa dei Volontari per la Difesa della Patria (VDP)[15].
Nel 2024, il Burkina Faso ha rappresentato circa un quinto del totale dei decessi legati al terrorismo a livello globale. La maggior parte degli attacchi si è concentrata nelle regioni settentrionali ed orientali, in prossimità del confine con il Niger. Su un totale di 1.532 vittime registrate, 682 si sono verificate nelle regioni del Centro-Nord e dell’Est, con il Centro-Nord che ha riportato il bilancio più elevato. L’attacco più letale, perpetrato dal JNIM, ha avuto luogo nel villaggio di Barsalogho, a circa 80 km dalla capitale Ouagadougou. L’assalto ha preso di mira civili che, dopo un preavviso ricevuto dall’esercito[16], stavano scavando trincee senza adeguate misure di protezione. I jihadisti hanno ucciso circa 600 persone[17], sostenendo falsamente, in seguito, che si trattasse di combattenti armati[18].
In molte aree rurali del Paese, i gruppi jihadisti continuano a controllare ampie porzioni di territorio ed esercitano una pressione crescente anche sui centri urbani, finora relativamente meno colpiti.
La situazione è aggravata dall’instabilità politica in corso, iniziata con la caduta dell’ex presidente Blaise Compaoré nel 2014 e acuitasi con due colpi di Stato avvenuti nel 2022, l’ultimo dei quali ha portato al potere l’attuale presidente di transizione, il Capitano Ibrahim Traoré. In passato affiliato a un’associazione marxista durante gli studi, Traoré si è fatto promotore, una volta salito al potere, di una visione pan-africanista e apertamente “anti-imperialista” [19].
Il Burkina Faso ha progressivamente modificato le proprie alleanze internazionali, prendendo le distanze dai tradizionali partner occidentali e avvicinandosi a Paesi come la Cina e, in particolare, la Russia. Questo riallineamento geopolitico si è ulteriormente accentuato quando i governi militari di Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato il ritiro congiunto dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), che aveva precedentemente sospeso il Burkina Faso nel gennaio 2022 a seguito del colpo di Stato guidato dal tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba[20].
Nel luglio 2024, i tre Paesi hanno formalizzato la loro alleanza istituendo la “Confederazione degli Stati del Sahel”, con l’obiettivo di promuovere l’integrazione regionale attraverso la creazione di una banca d’investimento e meccanismi per la libera circolazione di persone, beni e servizi. L’iniziativa è seguita alla creazione, nel settembre 2023, dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), un patto di difesa comune volto a coordinare la lotta contro il terrorismo nella regione[21].
Nel dicembre 2024, Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato un periodo di transizione di sei mesi per il loro ritiro da ECOWAS, indicando il 29 luglio 2025 come data effettiva dell’uscita, ma mantenendo il 29 gennaio come data ufficiale. Nonostante i tentativi di mediazione da parte di ECOWAS, culminati in un vertice ad Abuja, i tre governi militari hanno confermato la decisione, segnando così un profondo cambiamento geopolitico nel Sahel e un avvicinamento strategico alla Federazione Russa[22].
Numerosi attacchi avvenuti durante il periodo di riferimento hanno colpito sia la popolazione civile sia quella militare, includendo tra le vittime anche membri delle comunità religiose. Le violenze hanno incluso episodi di rapimento e uccisione di leader religiosi. I seguenti episodi, pur non esaustivi, illustrano la gravità e la portata del fenomeno.
Il 2 gennaio 2023, padre Jacques Yaro Zerbo, sacerdote sessantaseienne della diocesi di Dédougou, è stato ucciso in un’imboscata da uomini armati non identificati mentre si trovava in viaggio sulla strada tra Dédougou e Gassan. Secondo il vescovo, monsignor Prosper Bonaventure Ky, l’attacco ha avuto luogo in una delle regioni più colpite dalla violenza in Burkina Faso ed è stato perpetrato da gruppi terroristici. Gli assalitori hanno anche rubato il veicolo del sacerdote. Le autorità locali hanno riferito che si trattava almeno del quarto sacerdote ucciso nella stessa area[23].
L’11 gennaio 2023, militanti jihadisti hanno attaccato la moschea ahmadi di Goulgountou, nella regione del Sahel. Giunti su motociclette durante le preghiere serali, gli assalitori hanno fatto irruzione nel luogo di culto, separando nove anziani fedeli — tra cui l’imam Alhaj Boureima Bidiga, di 67 anni — e giustiziandoli per aver rifiutato di rinnegare la propria fede. Secondo quanto riportato dai sopravvissuti, le ultime parole dell’imam sono state: «Se volete tagliarmi la testa, potete farlo, ma non posso rinunciare all’Islam ahmadiyya.» Prima di lasciare la moschea, i jihadisti hanno minacciato gli altri fedeli, affermando che la riapertura del luogo di culto avrebbe comportato la morte[24].
Nel mese di ottobre 2023, la popolazione cristiana del villaggio di Débé, nel nord-ovest del Burkina Faso, è stata costretta a fuggire dopo che i jihadisti avevano emesso un ultimatum di 72 ore. Il provvedimento è giunto in seguito all’uccisione di due giovani scout all’interno della chiesa del villaggio, accusati dai militanti di appartenere a un gruppo bandito e di aver violato il divieto di accesso in un’area sotto il loro controllo. Il vescovo di Dédougou. monsignor Prosper B. Ky, ha definito l’episodio senza precedenti: «Finora, erano sempre stati cacciati tutti gli abitanti di un villaggio, mai soltanto i membri di una particolare religione»[25].
Il 25 febbraio 2024, decine di persone sono state uccise in un attacco contro una moschea nella città di Natiaboani, nella regione orientale del Paese, teatro di un’ampia attività jihadista. L’attacco è avvenuto durante le preghiere mattutine, e secondo le autorità, la maggior parte delle vittime erano uomini musulmani. I combattenti islamisti hanno accerchiato la moschea e preso di mira anche dei soldati locali e dei membri della milizia di autodifesa. Tra le vittime vi era anche «un importante leader religioso»[26]. Soldati e membri dei Volontari per la Difesa della Patria (VDP) sono stati anch’essi colpiti «da queste orde giunte in gran numero». Le fonti locali hanno parlato di un «attacco su larga scala», evidenziando l’elevato numero di assalitori e l’entità dei danni provocati[27].
Lo stesso giorno dell’attacco alla moschea di Natiaboani, almeno 15 civili sono stati uccisi e altri due feriti durante un assalto a una chiesa cattolica nella località di Essakane, nella diocesi di Dori, situata nella zona delle “tre frontiere” tra Burkina Faso, Mali e Niger. Padre Jean‑Pierre Sawadogo, vicario della diocesi, ha confermato che si è trattato di un «attacco terroristico» compiuto durante la celebrazione della Messa domenicale. In concomitanza, diverse unità militari sono state prese di mira in varie località delle regioni orientali e settentrionali del Paese. Secondo fonti della sicurezza, centinaia di insorti sono state neutralizzate in risposta. In passato, moschee e imam sono già stati obiettivo di attacchi jihadisti; la violenza ha causato oltre 20.000 vittime e più di due milioni di sfollati[28].
Il vescovo di Ouahigouya, monsignor Justin Kientega, ha denunciato un altro brutale attacco avvenuto durante una celebrazione della Parola in un villaggio della sua diocesi, in cui dodici persone — tra cui due bambini di quattro e quattordici anni — sono state uccise. Il prelato ha descritto le modalità ricorrenti di questi attacchi, con estremisti armati che giungono su motociclette imponendo regole severe alla popolazione, come il divieto di frequentare la scuola, l’obbligo di indossare abiti conformi ai precetti islamici e, in alcuni casi, esecuzioni pubbliche per diffondere il terrore. In numerose aree rurali, gli abitanti sono costretti ad abbandonare definitivamente le proprie abitazioni.
I cristiani, già minoranza nel Paese, sono soggetti a restrizioni particolarmente rigide. In alcuni villaggi è loro consentito pregare, ma non svolgere attività catechistiche; in altri, ogni forma di culto cristiano è proibita. Ciò ha costretto molti fedeli a fuggire. Nella diocesi di Ouahigouya, due parrocchie sono state chiuse per motivi di sicurezza, mentre altre due risultano completamente inaccessibili[29].
Nel complesso, la violenza jihadista ha gravemente compromesso la vita ecclesiale in Burkina Faso, provocando la sospensione di numerose attività pastorali. Nel febbraio 2024, la Conferenza Episcopale del Burkina Faso e del Niger ha reso noto che almeno 30 parrocchie erano state chiuse, in particolare nelle regioni settentrionali e orientali del Paese[30]. Con gruppi armati che controllano tra il 40 e il 50 percento del territorio nazionale, le attività pastorali sono ormai concentrate quasi esclusivamente nelle capitali provinciali. Nella diocesi di Dori, ad esempio, tre delle sei parrocchie risultano chiuse. Secondo il vescovo Laurent Dabiré, sono spesso gli stessi fedeli a chiedere ai sacerdoti di lasciare le zone divenute troppo pericolose[31].
Nell’aprile 2024, il catechista Édouard Zoétyenga Yougbare è stato rapito e ucciso nei pressi di Saatenga, nella diocesi di Fada N’Gourma, nell’est del Paese. Secondo fonti locali, l’uccisione sarebbe legata a una disputa per la terra con un gruppo di pastori fulani, e non a motivazioni strettamente religiose. Altre persone sono state sequestrate dallo stesso gruppo armato, tra cui un altro catechista, Jean Marie Yougbare, rilasciato poco dopo quando i rapitori hanno riconosciuto che li aveva ospitati nella sua casa durante un temporale[32].
Alla fine dell’agosto 2024, almeno 100 persone, tra civili e soldati, sono state uccise nel centro del Burkina Faso, quando miliziani di Jama‘at Nusrat al‑Islam wal‑Muslimin (JNIM) hanno attaccato il comune di Barsalogho, a circa 80 chilometri dalla capitale.
L’assalto — uno dei più letali dell’anno — ha preso di mira contadini costretti a scavare trincee per conto delle forze di sicurezza. Al‑Qaeda ha rivendicato l’operazione, affermando di aver ottenuto il «controllo totale di una postazione della milizia» a Kaya, città strategica per le operazioni anti‑insurrezionali. Secondo un’analisi di un esperto di sicurezza, i video diffusi online mostrano numerosi corpi ammassati vicino alle trincee[33].
Solo un giorno dopo il massacro di Barsalogho, i jihadisti hanno ucciso 26 persone in una chiesa del villaggio di Sanaba, nella diocesi di Nouna, nell’ovest del Paese. Il 25 agosto 2024, gli insorti hanno circondato il villaggio, radunato gli abitanti e separato i maschi sopra i 12 anni che fossero cristiani — cattolici o protestanti —, praticanti di religioni tradizionali o ritenuti ostili alla loro ideologia. I 26 uomini sono stati condotti in una chiesa protestante vicina e giustiziati sgozzandoli. Nei giorni successivi, i jihadisti hanno attaccato tre parrocchie cattoliche limitrofe, provocando la fuga di circa 5.000 donne e bambini verso Nouna. Tra maggio e agosto 2024 si stima che circa 100 cristiani siano stati uccisi nella regione pastorale di Zekuy‑Doumbala, mentre altri risultano rapiti[34].
Un rapporto di Human Rights Watch, pubblicato nel settembre 2024, ha evidenziato l’escalation della violenza islamista nel Paese, con gruppi affiliati allo Stato Islamico e ad al‑Qaeda responsabili di massacri di civili, sfollati e fedeli cristiani[35].
La stessa organizzazione ha documentato anche gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate. Nel febbraio 2024, 223 civili — tra cui almeno 56 bambini — sono stati uccisi nei villaggi di Soro e Nondin[36], dopo essere stati accusati dall’esercito di non aver segnalato i movimenti jihadisti. Un sopravvissuto ha riferito che i militari hanno sparato indiscriminatamente sugli abitanti. Nel maggio 2025, almeno 130 persone sono morte in un altro massacro attribuito alle forze speciali burkinabé nei pressi della città occidentale di Solezno[37].
Poiché numerosi membri della comunità fulani sono stati reclutati da JNIM, i Volontari per la Difesa della Patria (VDP) — milizie filogovernative sostenute dalla giunta militare — hanno preso di mira civili di etnia fulani, uccidendo persone a Ouagadougou, a Bobo‑Dioulasso e 31 membri di famiglie fulani nella città nord‑occidentale di Nouna[38].
È probabile che ulteriori atrocità siano state commesse sia dall’esercito sia dalle milizie alleate, anche se la loro documentazione risulta difficile a causa del blackout informativo imposto dal governo. Le autorità hanno espulso giornalisti e bloccato agenzie di stampa, in particolare quelle che avevano denunciato esecuzioni di civili da parte delle forze armate. Nel marzo 2023, il governo ha sospeso le trasmissioni di France 24 «fino a nuovo ordine», dopo aver già sospeso quelle di Radio France Internationale nel dicembre 2022. Reporter senza Frontiere ha definito tali misure «un nuovo attacco alla libertà di informazione»[39].
Nell’aprile 2023, il governo ha ordinato a due giornaliste francesi, Sophie Douce (Le Monde) e Agnès Faivre (Libération), di lasciare il Paese entro 24 ore. Libération stava indagando su un video che mostrava bambini e adolescenti giustiziati in una caserma militare, con almeno un soldato visibilmente contrario all’operazione[40]. Secondo Al Jazeera, Reporter senza Frontiere ha affermato che il governo colpisce i media nel tentativo di «camuffare i propri abusi»[41].
Nell’aprile 2024, a seguito dei massacri perpetrati dall’esercito nei villaggi di Soro e Nondin, la giunta ha sospeso l’accesso a diverse testate internazionali che avevano riportato la notizia, tra cui Deutsche Welle, Le Monde, The Guardian, TV5 Monde, la BBC e Voice of America[42].
Domenica 6 ottobre 2024, jihadisti hanno attaccato la città di Manni, nella regione orientale del Burkina Faso, prendendo di mira un mercato frequentato da numerosi cristiani dopo la Messa. La violenza è proseguita per tre giorni, con aggressioni contro il personale sanitario e il massacro degli uomini rimasti in città. Fonti locali stimano oltre 150 vittime, sia cristiane sia musulmane. Mons. Pierre Claver Malgo, vescovo di Fada N’Gourma, ha condannato l’atrocità definendola «barbara», deplorando l’attacco alla dignità umana e invitando i fedeli a restare uniti e a mantenere la speranza[43].
Il 25 gennaio 2025, quattro catechisti della parrocchia di Ouakara, nella diocesi di Dédougou, sono stati assaliti nei pressi di Bondokuy mentre rientravano da una sessione di formazione sul ministero catechistico. Il gruppo viaggiava su due motociclette quando è stato attaccato da due uomini armati; i catechisti sulla prima moto sono riusciti a fuggire nella foresta, mentre gli altri due sono stati successivamente trovati brutalmente uccisi. Il commissario di polizia di Bondokuy ha riferito che si trattava del quarto omicidio simile nell’area, attribuendo la responsabilità a banditi armati che si spacciano per terroristi allo scopo di giustificare la violenza e diffondere il terrore tra la popolazione[44].
Nonostante la persistente minaccia dell’estremismo violento, si sono registrati alcuni segnali significativi di unità e dialogo interreligioso.
Nell’aprile 2023, giovani musulmani e cristiani si sono riuniti in una piazza pubblica di Ouagadougou al tramonto per interrompere insieme il digiuno. L’iniziativa, organizzata durante il Ramadan e la Quaresima, mirava a promuovere la tolleranza religiosa di fronte all’insurrezione in corso. L’evento, coordinato da un gruppo giovanile interreligioso, ha previsto la condivisione del pasto e momenti di preghiera comune, come gesto simbolico di unità contro i militanti che cercano di strumentalizzare le divisioni etniche e religiose[45].
Il 17 giugno 2023, il Burkina Faso e la Santa Sede hanno celebrato il 50º anniversario delle relazioni diplomatiche. Durante una cerimonia a Roma, il ministro delegato per la cooperazione regionale, Jean Marie Karamoko Traoré, ha definito la Chiesa cattolica «inseparabile» dallo sviluppo del Paese, lodandone il contributo nei settori dell’istruzione, della catechesi e dell’emancipazione dei giovani e delle donne. Ha inoltre espresso gratitudine per la solidarietà mostrata dalla Chiesa durante la crisi di sicurezza, affermando: «Dall’inizio degli attacchi terroristici, abbiamo sperimentato la solidarietà, la compassione e la testimonianza d’amore della Chiesa»[46].
Il 3 ottobre 2024, il presidente ad interim Ibrahim Traoré ha reso omaggio al nunzio apostolico, monsignor Michael Francis Crotty, al termine della sua missione diplomatica nel Paese. Monsignor Crotty ha ringraziato per la calorosa accoglienza ricevuta nei quattro anni di servizio, esprimendo soddisfazione per la missione svolta in rappresentanza della Santa Sede. Il presule ha trasmesso i saluti e il sostegno spirituale di Papa Francesco al popolo del Burkina Faso, in particolare a coloro che soffrono a causa del terrorismo, e ha riaffermato l’impegno della Chiesa cattolica nel contribuire allo sviluppo del Paese, in particolare nei settori educativo e sanitario[47].
Prospettive per la libertà religiosa
Le prospettive per la libertà religiosa in Burkina Faso restano profondamente preoccupanti. Il Paese sta affrontando una delle crisi umanitarie più gravi al mondo, aggravata da un’insicurezza radicata, da una diffusa povertà e da una fragilità istituzionale. Oltre due milioni di persone sono state sfollate internamente, molte delle quali a causa di violenze mirate di matrice religiosa[48]. Sia le comunità cristiane che quelle musulmane hanno subito devastanti attacchi jihadisti, con luoghi di culto sempre più presi di mira durante le celebrazioni religiose. I leader religiosi vengono frequentemente rapiti o uccisi, spesso con totale impunità. Nonostante le dichiarazioni ufficiali che parlano di progressi, il governo non è finora riuscito a ripristinare un livello minimo di sicurezza né a garantire il diritto al culto, sollevando gravi preoccupazioni per i prossimi due anni.
Fonti