Analisi Globale
Marta Petrosillo
La libertà religiosa è un diritto umano fondamentale, sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Se viene negata a un gruppo, essa è potenzialmente negata a tutti. Questo diritto si colloca al cuore della nostra comune umanità — eppure, come evidenzia il presente Rapporto, troppo spesso esso appare più come un privilegio che come una garanzia effettiva.
Il biennio 2023–2024 è stato segnato da un acuirsi delle tensioni globali: conflitti geopolitici, rafforzamento dei regimi autoritari, crescita delle disuguaglianze e progressivo indebolimento delle norme democratiche. Lo scoppio della guerra tra Hamas e Israele nell’ottobre 2023 ha innescato una nuova ondata di violenza in Medio Oriente, con significative ripercussioni sulla diplomazia internazionale e sugli equilibri regionali. Parallelamente, la guerra in Ucraina è proseguita senza prospettive di soluzione, aggravando le tensioni tra Est e Ovest e contribuendo alla crisi energetica e alimentare globale. In Africa, una serie di colpi di Stato militari — unita al ritiro delle missioni internazionali di peacekeeping da Paesi come Mali e Repubblica Centrafricana — ha favorito l’espansione della violenza jihadista nel Sahel e oltre. Nel Pacifico indo-occidentale, le tensioni attorno a Taiwan e al Mar Cinese Meridionale hanno reso più evidente la crescente rivalità strategica tra Stati Uniti e Cina.
Anche la libertà religiosa non è rimasta immune da questi sconvolgimenti. In tutti i continenti, dai grandi centri urbani alle aree rurali marginalizzate, individui e comunità continuano a subire minacce e pressioni per il solo fatto di praticare, professare o identificarsi con una determinata religione.
L’edizione 2025 del Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo analizza queste dinamiche complesse e interconnesse, che oggi mettono a rischio la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. I Paesi sono suddivisi in quattro categorie, a seconda della gravità delle violazioni riscontrate. La categoria Persecuzione si riferisce a contesti in cui si verificano atti gravi e ripetuti di violenza o vessazione, spesso perpetrati con impunità. La categoria Discriminazione riguarda Paesi in cui si riscontrano limitazioni legali o sociali che restringono ingiustamente i diritti di specifici gruppi religiosi. La categoria Sotto osservazione comprende gli Stati che mostrano segnali iniziali di violazioni gravi e richiedono un attento monitoraggio. Infine, sono considerati Conformi gli Stati che, nel complesso, rispettano gli standard internazionali in materia di libertà religiosa.
La categorizzazione del presente Rapporto mette in evidenza la gravità della situazione:
- 24 Paesi rientrano nella categoria Persecuzione, a causa di gravi forme di oppressione o repressione violenta.
- 38 Paesi sono classificati nella categoria Discriminazione, con pressioni legali e sociali che limitano l’esercizio della religione.
- 24 Paesi sono posti nella categoria Sotto osservazione, in quanto presentano segnali preoccupanti di minacce emergenti.
In totale, 62 Paesi risultano soggetti a persecuzione o discriminazione religiosa. Tali nazioni ospitano complessivamente circa 5,4 miliardi di persone, pari al 64,7 percento della popolazione mondiale. Il che significa che quasi due persone su tre vivono dunque in contesti in cui la libertà religiosa è seriamente compromessa.
Persecuzione
Secondo il Rapporto, 24 Paesi sono classificati come soggetti a persecuzione religiosa. Tra questi figurano nazioni densamente popolate come India e Cina, nonché Stati segnati da conflitti o da regimi autoritari quali Afghanistan, Nigeria, Corea del Nord ed Eritrea. Complessivamente, essi contano circa 4,1 miliardi di abitanti, ovvero più della metà della popolazione globale, costretta a vivere in contesti caratterizzati da gravi violazioni della libertà religiosa.
La natura della persecuzione varia a seconda dei contesti nazionali. In otto Paesi - Afghanistan, Bangladesh, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Sudan e Yemen - essa scaturisce dalla combinazione tra autoritarismo ed estremismo religioso. In altre sette nazioni - Cina, Eritrea, Iran, Nicaragua, Corea del Nord, Arabia Saudita e Turkmenistan - la causa principale è invece un controllo statale di carattere autoritario. In sette Paesi - Burkina Faso, Camerun, Mali, Niger, Somalia, Mozambico e Repubblica Democratica del Congo, la persecuzione deriva soprattutto dall’estremismo religioso. In India e Myanmar, infine, essa si manifesta come risultato della convergenza tra autoritarismo e nazionalismo etno-religioso.
Discriminazione
Il Rapporto 2025 individua 38 Paesi in cui si riscontrano forme sistematiche di discriminazione religiosa. Tra essi vi sono Egitto, Etiopia, Messico, Turchia e Vietnam, insieme ad altri Stati in cui le minoranze religiose subiscono restrizioni di natura legale, politica o sociale che limitano la libertà di credo e di culto. Nel complesso, questi Paesi comprendono circa 1,3 miliardi di abitanti, pari al 17,3 percento della popolazione mondiale. Pur non essendo esposti a forme di persecuzione sistematica, molte persone continuano a subire discriminazioni ricorrenti, che si traducono in un accesso limitato ai luoghi di culto, in vincoli all’espressione religiosa e in disparità nell’applicazione della legge.
Le cause della discriminazione sono molteplici e non uniformi. In 28 Paesi è possibile individuare un fattore prevalente. Il più frequente è l’autoritarismo, presente in 24 nazioni, tra cui Algeria, Malaysia, Venezuela e Turchia, dove il controllo statale riduce gli spazi di pluralismo religioso. In Ciad, la discriminazione è alimentata principalmente dall’estremismo religioso, ad Haiti e in Messico si lega alla criminalità organizzata, mentre in Nepal deriva dal nazionalismo etno-religioso.
In altri 10 Paesi convivono più cause di discriminazione cause. In Egitto, Giordania, Iraq, Kuwait, Oman, Siria e Thailandia si osserva una commistione tra autoritarismo ed estremismo religioso. In Israele e Palestina si sovrappongono nazionalismo etno-religioso ed estremismo, mentre in Sri Lanka essa è determinata dall’interazione tra autoritarismo e nazionalismo etno-religioso.
Sotto Osservazione
Ventiquattro Paesi sono classificati come “sotto osservazione” a causa dell’emergere di minacce alla libertà religiosa. In queste nazioni - tra cui figurano Cile, Indonesia, Kenya e Russia - vivono complessivamente oltre 750 milioni di persone, pari a circa il 9,3 percento della popolazione mondiale. Pur non registrando al momento forme gravi di persecuzione o discriminazione, tali Stati mostrano segnali preoccupanti, come il rafforzamento dell’autoritarismo, l’indebolimento delle garanzie giuridiche e l’acuirsi dell’intolleranza religiosa. La loro inclusione evidenzia la necessità di un monitoraggio costante e di misure preventive. Particolarmente rilevante è il caso di Messico, Federazione Russa e Ucraina che nell’edizione 2023 del Rapporto figuravano in questa categoria e risultano ora inseriti tra i Paesi soggetti a discriminazione, .
Controllo autoritario e repressione a livello giuridico
Un quadro regionale di rilievo emerge proprio in America Latina, dove numerosi Paesi oggi classificati come soggetti a Discriminazione o Persecuzione — tra cui Cuba, Haiti, Messico, Nicaragua e Venezuela— e altri come Bolivia, Cile, Colombia e Honduras, inseriti nella categoria Sotto Osservazione, presentano un comune allineamento politico o ideologico con il Foro di São Paulo. Questa coalizione transnazionale di partiti e movimenti di sinistra è spesso associata a tendenze autoritarie, restrizioni delle libertà civili e controllo ideologico delle istituzioni pubbliche. In tali contesti, la libertà religiosa viene limitata dalla politicizzazione della religione, da pressioni sulle Chiese considerate critiche verso il governo e da vincoli imposti alle organizzazioni religiose attive nei settori dell’istruzione, dell’assistenza sociale e dell’aiuto umanitario. Tale correlazione suggerisce che l’erosione delle garanzie democratiche e l’inasprimento ideologico costituiscano fattori determinanti nel deterioramento della libertà religiosa nella regione (si veda a tal proposito il focus tematico Il modello cubano esportato in Venezuela e Nicaragua).
Anche in altre parti del mondo, i governi continuano a utilizzare leggi e burocrazia come strumenti di controllo e repressione dell’espressione religiosa. In Asia, le campagne di sinizzazione promosse dalla Cina impongono alle comunità musulmane uigure e ai gruppi cristiani un rigido conformismo ideologico. Le normative introdotte nel 2024 stabiliscono che tutti i luoghi di culto debbano aderire esplicitamente ai “valori del socialismo”, mentre le comunità tibetane e musulmane subiscono la ridenominazione forzata dei villaggi, detenzioni arbitrarie e la distruzione di spazi religiosi. Particolarmente preoccupanti sono le leggi che vietano l’educazione religiosa dei minori e ne limitano la partecipazione alla vita religiosa (si veda a tal proposito il caso studio Cina: barriere normative all’educazione religiosa dei minori). La Corea del Nord mantiene un divieto assoluto su ogni forma di espressione religiosa. In Vietnam e Laos, le minoranze cristiane — soprattutto tra i gruppi indigeni — subiscono conversioni forzate, demolizioni di chiese e persino l’uccisione di leader religiosi, senza alcuna forma di tutela legale. In Iran e Turkmenistan, i gruppi religiosi sono sottoposti a sorveglianza costante da parte dello Stato, mentre le comunità non registrate vivono sotto la minaccia permanente di arresti, aggressioni e chiusure forzate.
Riorganizzazione e nuove dinamiche del jihadismo
L’estremismo religioso continua a essere una delle principali cause di persecuzione a livello globale. Negli ultimi anni, i movimenti jihadisti hanno ampliato il proprio raggio d’azione e diversificato le strategie, adattandosi ai contesti locali e sfruttando rivalità radicate. Sebbene l’Africa e il Medio Oriente rimangano gli epicentri dell’attività jihadista, sviluppi significativi si registrano anche in Asia, soprattutto dopo il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan. Questi gruppi combinano un’autonomia operativa regionale con diversi gradi di coordinamento centrale, come mostrano le recenti evoluzioni delle operazioni dello Stato Islamico (si veda a tal proposito il focus tematico L’evoluzione del jihadismo). Tali formazioni hanno inoltre utilizzato crisi specifiche come occasione di mobilitazione, in particolare il conflitto tra Hamas e Israele del 2023. All’inizio del 2025, l’Institute for the Study of War ha segnalato il riemergere dell’ISIS in Siria, dove i vuoti di sicurezza e i mutamenti nelle priorità antiterrorismo hanno favorito una graduale riorganizzazione del gruppo nello scenario post-Assad. Nei Paesi occidentali, invece, la minaccia proviene soprattutto da reti decentralizzate e da singoli attori.
La libertà religiosa come vittima della guerra
In molte aree interessate da conflitti armati — dal Sahel alla Siria, dal Myanmar all’Ucraina — le comunità religiose sono esposte a violenze mirate. Gruppi terroristici come Boko Haram, o affiliati allo Stato Islamico e ad al-Shabaab continuano a strumentalizzare la religione per giustificare attacchi contro cristiani e musulmani che rifiutano l’ideologia estremista. In questi contesti, la libertà religiosa si intreccia con violazioni più ampie dei diritti umani, sfollamenti forzati e collasso istituzionale.
I contesti bellici rivelano la precarietà della libertà religiosa. Nel Sahel, i gruppi jihadisti affiliati a ISIS e al-Qaeda hanno intensificato gli attacchi contro tutte le comunità religiose. In Burkina Faso, Mali, Niger e Nigeria, le violenze hanno costretto intere popolazioni all’esodo, interrompendo la vita religiosa e portando alla distruzione di numerosi luoghi di culto (si vedano a tal proposito il focus tematico In fuga da persecuzioni e discriminazioni a sfondo religioso e il caso studio Rollo, Burkina Faso – L’esodo forzato di una comunità cristiana). In Nigeria, l’ondata di violenze ha colpito in particolare il Nord e la Middle Belt: Boko Haram, ISWAP e mandriani Fulani radicalizzati hanno preso di mira chiese, villaggi e leader religiosi, causando sfollamenti di massa, espropri di terre e persecuzioni mirate contro le comunità cristiane (si veda a tal proposito l’approfondimento Fulani e jihadismo in Africa: tra retaggi storici e manipolazioni).
Nel Corno d’Africa, la guerra in Sudan ha generato una delle più gravi crisi di sfollamento della storia recente; chiese e moschee sono state trasformate in basi militari, religiosi incarcerati e si segnalano casi di conversioni forzate. In Somalia, l’apostasia continua a essere punita con la morte, mentre in Etiopia i conflitti etnici hanno devastato i siti religiosi, costringendo numerosi leader religiosi alla clandestinità.
Il conflitto tra Israele e Hamas ha devastato le infrastrutture religiose di Gaza e acuito le fratture interne alla società israeliana. Entrambe le parti sono accusate di crimini di guerra, mentre il crollo del turismo religioso ha aggravato le difficoltà economiche delle comunità cristiane della Terra Santa. Le tensioni intercomunitarie tra ebrei e musulmani sono alimentate da una retorica nazionalista radicale e dall’uso politico dei simboli religiosi.
La guerra in Ucraina ha intensificato le violazioni della libertà religiosa su entrambi i fronti: la Russia ha represso i gruppi religiosi filo-ucraini, mentre l’Ucraina ha introdotto restrizioni contro le Chiese legate a Mosca. In entrambi i Paesi, gli obiettori di coscienza hanno subito procedimenti penali. Nel Caucaso, l’offensiva dell’Azerbaigian del 2023 ha portato alla pulizia etnica di 120.000 cristiani armeni dal Nagorno-Karabakh, seguita dalla distruzione sistematica del patrimonio cristiano della regione.
Criminalità organizzata: la fede sotto minaccia armata
In contesti in cui lo Stato ha perso il controllo effettivo del territorio, sono spesso i gruppi criminali a determinare i limiti della vita religiosa. In diverse aree segnate da instabilità dell’America Latina, le chiese vengono saccheggiate, i leader religiosi sequestrati e persino le celebrazioni sono sottoposte al controllo o all’autorizzazione dei cartelli della droga. Nello Stato fallito di Haiti, sacerdoti e religiose figurano tra i principali obiettivi dei rapimenti a scopo di riscatto, mentre le chiese si trasformano in presìdi di sopravvivenza in territori dominati dall’anarchia. In Messico, continua a crescere il numero di sacerdoti assassinati (si veda a tal proposito il caso studio Tra pallottole e benedizioni). In Ecuador e Guatemala, alcuni culti religiosi legati alle gang criminali mostrano come il fenomeno religioso possa essere strumentalizzato per legittimare e rafforzare la violenza.
Anche in alcune aree dell’Africa subsahariana — in particolare in Burkina Faso, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo — leader religiosi e comunità di fede sono bersaglio di atti di violenza omicida e continuano a subire gravi minacce da parte della criminalità organizzata e di milizie non statali.
Una nazione, una sola fede? La religione come marchio identitario.
In diversi Paesi, la religione viene sempre più utilizzata come criterio di definizione dell’identità nazionale, alimentando l’esclusione e la marginalizzazione delle minoranze. L’India rappresenta un esempio di “persecuzione ibrida”, in cui la repressione legale guidata dallo Stato si combina con le violenze intercomunitarie. Le politiche nazionaliste indù del Bharatiya Janata Party (BJP) hanno progressivamente eroso le garanzie costituzionali: solo nel 2024 si sono registrati 834 attacchi contro cristiani, mentre le ONG sono state penalizzate dalla Legge sulla regolamentazione dei contributi esteri e gli arresti effettuati in base alle leggi anti-conversione sono aumentati in modo significativo, riducendo ulteriormente la libertà religiosa (si veda a tal proposito il caso studio India: le leggi anti-conversione).
In Nepal, la crescente retorica anti-conversione ha dato luogo a episodi di intimidazione verso i leader religiosi e ad arresti per attività di evangelizzazione. In Myanmar, la repressione politica, l’identità etnica e l’appartenenza religiosa appaiono profondamente intrecciate. Il quadro ideologico birmano — fondato su una matrice buddista e di etnia bamar — si presenta come garante dell’unità nazionale, mentre le minoranze etniche e religiose sono sistematicamente represse e spesso accusate di separatismo. Questa dinamica alimenta un ciclo di sfiducia, emarginazione e violenza che continua a lacerare la società birmana (si veda a tal proposito l’approfondimento Il triangolo del Myanmar: gruppi politici, etnici e religiosi).
In diversi Paesi a maggioranza musulmana, la libertà religiosa rimane fortemente limitata dall’interpretazione e dall’applicazione della legge islamica. Laddove la shariʿa viene attuata in modo da escludere o discriminare le minoranze, i diritti fondamentali risultano gravemente compromessi. In Iran, alcuni cristiani sono stati arrestati per aver partecipato a incontri in case private. In Pakistan, le accuse di blasfemia — spesso rivolte a cittadini non musulmani — hanno provocato episodi di violenza collettiva e condanne giudiziarie. In Afghanistan, l’apostasia continua a essere punita con la pena di morte (si veda a tal proposito l’approfondimento Diritto, potere e prassi nel mondo islamico: i molteplici volti della shariʿa).
Doppiamente vulnerabili: donne appartenenti a minoranze religiose
Le donne appartenenti a minoranze religiose rimangono maggiormente esposte a gravi violazioni, a causa di una duplice vulnerabilità che intreccia genere e appartenenza religiosa. In Pakistan, rimane allarmante l’alto numero di casi di rapimenti, conversioni e matrimoni forzati di ragazze indù e cristiane. Nel gennaio 2023, esperti delle Nazioni Unite hanno sollecitato il governo pachistano a intervenire, evidenziando l’impatto di queste pratiche sulla libertà religiosa e sui diritti dei minori. Tuttavia, gli abusi persistono: nel 2025, Ariha Gulzar, di 12 anni, e Laiba Suhail, di appena 10 anni, sono state rapite, convertite e costrette al matrimonio, con il supporto di documenti falsificati e sotto continue minacce alle famiglie. Solo una forte pressione legale ha portato infine ad alcuni arresti.
In Egitto, il numero di sparizioni che coinvolgono ragazze cristiane minorenni è aumentato drasticamente. Le famiglie denunciano rapimenti, conversioni e matrimoni consuetudinari; oltre 30 casi di questo tipo sono stati documentati nel 2024, segnalando una tendenza in grave crescita.
Conflitto di libertà: la religione nell’era della conformità ideologica
In alcuni Paesi democratici, sentenze giudiziarie e politiche pubbliche pongono sempre più frequentemente la libertà religiosa in contrasto con altri diritti fondamentali, o presunti tali. Questa dinamica è particolarmente evidente nei contesti occidentali e latinoamericani, dove ideologie secolari si scontrano spesso con norme religiose tradizionali. Il rapporto della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH) del 2024 ha suscitato critiche per aver presentato la libertà religiosa come potenzialmente in conflitto con i diritti antidiscriminatori.
Anche in società con solide garanzie costituzionali — come quelle dell’area OSCE — l’obiezione di coscienza è sottoposta a crescente pressione, in particolare in relazione al servizio militare e all’aborto (si veda a tal proposito il caso studio Il progressivo indebolimento del diritto all’obiezione di coscienza). I quadri normativi e le aspettative culturali dominanti tendono a dare sempre più priorità a diritti reali o presunti in competizione con la libertà religiosa.
L’ostilità verso la religione si è intensificata in diverse aree: in Canada, chiese cattoliche sono state oggetto di attacchi incendiari; in Spagna, Grecia e Croazia, simboli religiosi e processioni sono stati presi di mira da atti ideologici; in Belgio, leader religiosi sono stati sanzionati per il rifiuto dell’ordinazione femminile. A seguito del conflitto a Gaza, gli episodi di odio contro ebrei e musulmani sono aumentati in tutta Europa, mentre gli attacchi contro i cristiani sono proseguiti.
Negli Stati occidentali dell’OSCE, l’ostilità verso i cristiani è spesso sottostimata a causa della mancanza di documentazione. Questa lacuna indebolisce le risposte politiche, normalizza l’ostilità, favorisce un trattamento diseguale e accresce la vulnerabilità delle comunità cristiane (si veda a tal proposito l’approfondimento Persecuzione educata: il peccato di omissione).
Tuttavia, non mancano eccezioni rilevanti. I tribunali del Regno Unito e degli Stati Uniti hanno difeso i diritti religiosi in cause significative relative alla libertà di espressione e alla protezione sul lavoro, dimostrando che i sistemi democratici possono ancora offrire salvaguardie efficaci per la libertà religiosa, a condizione che sia mantenuta l’indipendenza della magistratura.
Oltre lo schermo: la persecuzione digitale e il futuro della libertà religiosa
La dimensione digitale ha introdotto potenti strumenti di repressione. In numerosi Paesi, i contenuti religiosi vengono censurati online e le persone rischiano l’arresto per i post che pubblicano sui social media. I regimi autoritari utilizzano tecnologie di sorveglianza per monitorare l’espressione religiosa, etichettando gli appartenenti alle minoranze come estremisti. In Cina e Russia, il dissenso digitale viene filtrato e punito, mentre le piattaforme religiose vengono oscurate. Al tempo stesso, anche i gruppi estremisti sfruttano gli strumenti digitali per incitare alla violenza e diffondere la loro propaganda. I social media sono sempre più usati per silenziare le minoranze, alimentare la polarizzazione e diffondere discorsi d’odio. In Pakistan, le accuse di blasfemia – spesso infondate – sono sempre più legate a contenuti diffusi online. Reti organizzate monitorano le attività digitali e sollecitano l’intervento delle autorità o incitano direttamente alla violenza delle folle. Un rapporto del 2023 del Ministero degli Affari Religiosi, basato su dati dell’Agenzia Federale d’Investigazione, ha registrato oltre 400.000 denunce, segnalando come la sorveglianza digitale stia diventando un mezzo cruciale per reprimere la libertà religiosa.
Il potenziale dell’intelligenza artificiale (IA) di manipolare e reprimere chi crede è vasto ed inquietante. In Corea del Nord, secondo alcune fonti, le autorità impongono un sistema di sorveglianza che cattura automaticamente uno screenshot da ogni telefono ogni cinque minuti, archiviando le immagini per il monitoraggio statale. Le enormi capacità dell’IA richiedono un controllo umano effettivo e solide garanzie etiche, affinché il suo impiego rispetti la dignità umana e contribuisca alla tutela della libertà di pensiero, coscienza e religione in tutte le sue dimensioni (si veda a tal proposito l’approfondimento Un cambio d’epoca: la libertà religiosa nell’era dell’intelligenza artificiale).
Semi di speranza: difendere e promuovere il diritto alla libertà religiosa
Nonostante le crescenti minacce, le comunità religiose continuano a svolgere un ruolo decisivo nella promozione della pace, del dialogo e della dignità umana. Le organizzazioni religiose si trovano spesso in prima linea nella risposta alle emergenze, nella difesa dei diritti fondamentali e nel sostegno delle popolazioni sfollate. Nelle aree colpite dai conflitti – in Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina – i leader religiosi offrono al tempo stesso orientamento morale e assistenza concreta. Nella regione di Cabo Delgado, in Mozambico, la Chiesa si è affermata come punto di riferimento per il dialogo interreligioso e il sostegno alle comunità colpite dalla violenza jihadista (si veda a tal proposito il caso studio Il ruolo attivo della Chiesa a Cabo Delgado). In Paesi come il Burkina Faso, iniziative locali promuovono la riconciliazione anche di fronte a minacce estremiste (si veda a tal proposito il caso studio Burkina Faso: la Partita della Pace).
L’educazione rappresenta uno strumento fondamentale, capace di favorire la coesione sociale, affermare la dignità umana e rafforzare culturalmente ed economicamente le minoranze (si veda a tal proposito l’approfondimento Educare alla libertà: insegnare la tolleranza, rafforzare le minoranze).
A livello globale, Papa Francesco si è distinto come una delle voci più influenti nella tutela della libertà religiosa e nella promozione del dialogo interreligioso (si veda a tal proposito l’approfondimento Papa Francesco e la libertà religiosa: un diritto per la pace).
Perché questi segni di speranza producano un cambiamento duraturo, è necessario un impegno collettivo e costante. La difesa della libertà religiosa non può gravare soltanto sui leader religiosi o sulla società civile: deve coinvolgere governi, istituzioni, educatori e singoli individui. La libertà religiosa è una responsabilità condivisa. Tutti siamo chiamati a far sentire la nostra voce per chiederne la protezione urgente, così come garantita dall’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.
La libertà religiosa è un diritto umano, non un privilegio.