

Sintesi 2025
Rapporti precedenti
Playlist di video
Metodologia e definizioni
1. Introduzione
2. Autori
3. Fonti metodologiche e Definizioni
3.1 Fonti
Le definizioni e i parametri adottati nel Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo si basano su una selezione rigorosa di fonti giuridiche, istituzionali e accademiche riconosciute a livello internazionale. Tra le principali:
● Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR)
● Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo
● Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e il suo Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR), in particolare le sezioni dedicate ai crimini d’odio: hatecrime.osce.org
● Linee guida dell’Unione Europea per la promozione e la protezione della libertà di religione o di credo
● Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948)
Sono inoltre state consultate pubblicazioni, documenti ufficiali e interviste personali con esperti internazionali, tra cui:
● Dr. Heiner Bielefeldt, professore presso l’Università di Erlangen ed ex Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla FoRB
● Dr. Marcela Szymanski, esperta in diritti umani e affari pubblici
● Dr. Mattia F. Ferrero, Punto di contatto nazionale della Santa Sede per i crimini d’odio presso l’OSCE/ODIHR
Ulteriori fonti documentali:
● Dichiarazioni ufficiali delle Missioni Permanenti della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York e Ginevra, disponibili su:
Per la valutazione metodologica e comparativa, sono stati esaminati anche rapporti e banche dati di:
● OSCE/ODIHR
● Dipartimento di Stato degli Stati Uniti
● Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF)
● Pew Research Center
● Open Doors (Porrte Aperte) / World Watch List
● Intergruppo sulla libertà di religione o di credo e sulla tolleranza religiosa del Parlamento Europeo.
● Human Rights Without Frontiers (www.hrwf.org)
● Forum 18 News Service (www.forum18.org)
● International Institute for Religious Freedom
3.2 Definizioni
a) Libertà di religione o di credo (FoRB)
La libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo (FoRB) è riconosciuta come diritto umano fondamentale dal diritto internazionale. L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR) recita quanto segue:
«Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo, nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza».
(Fonte: www.un.org/en/universal-declaration-human-rights)
Lo stesso diritto è sancito all’articolo 18 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), che deve essere interpretato alla luce del Commento Generale n. 22 adottato dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Ai sensi del diritto internazionale, la libertà di religione o di credo comprende tre elementi essenziali:
- La libertà di avere o adottare una religione o un credo di propria scelta, oppure di non professarne alcuno;
- La libertà di cambiare religione o credo;
- La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, individualmente o in comunità con altri, in pubblico o in privato, attraverso il culto, le osservanze, le pratiche e l’insegnamento.
La libertà di religione o di credo è inoltre tutelata dall’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Fonte: paragrafo -10 delle Linee guida dell’UE per la promozione e la protezione della libertà di religione o di credo). Tale libertà è altresì protetta dall’articolo 12 della Convenzione Americana dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 8 della Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli.
Nel 1981, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ulteriormente riaffermato l’impegno della comunità internazionale nei confronti della libertà religiosa adottando la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o sul credo.
b) Limiti alla libertà di religione
La libertà di religione o di credo, pur essendo un diritto fondamentale, non è assoluto. Secondo le pagine ufficiali del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo (http://www.ohchr.org/EN/Issues/FreedomReligion/Pages/Standards.aspx ), tale libertà può essere limitata nei seguenti casi:
● per garantire i diritti umani fondamentali di altri individui, come sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR);
● per tutelare l’interesse pubblico;
● in presenza di un rischio comprovato per l’ordine pubblico o la salute.
Le risoluzioni 2005/40 della Commissione per i Diritti Umani (paragrafo 12) e 6/37 del Consiglio per i Diritti Umani (par. 14) precisano che, in base al diritto internazionale, le limitazioni alla libertà di religione o di credo sono ammissibili solo se rispettano tutti i seguenti criteri:
a) la limitazione è prevista dalla legge;
b) la misura è volta a proteggere la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, la salute o la morale pubblica, oppure i diritti e le libertà fondamentali altrui;
c) la limitazione è necessaria al raggiungimento dello scopo dichiarato ed è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito;
d) la limitazione non è imposta per fini discriminatori né applicata in modo discriminatorio.
È altresì fondamentale sottolineare che la libertà religiosa coesiste con altri diritti inviolabili, tra cui quello sancito all’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:
«Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona».
Sebbene non sia un diritto assoluto, la libertà di religione o di credo è un diritto non derogabile, che non può essere sospeso neppure in stato di emergenza.
Un caso emblematico è rappresentato dalla pandemia di COVID-19 (2020–2023). In quel periodo, quasi tutti i governi hanno adottato restrizioni eccezionali che hanno inciso su numerosi diritti fondamentali, incluse le manifestazioni religiose pubbliche e la libertà di movimento. Tuttavia, non sempre è stato chiaro se tali limitazioni fossero giustificate e proporzionate, né se vi sia stato un trattamento equo delle attività religiose rispetto ad altri ambiti sociali ed economici.
In diverse giurisdizioni, le corti costituzionali e amministrative hanno successivamente annullato alcune restrizioni legate alla libertà religiosa, ritenendole sproporzionate, irrazionali o in violazione delle garanzie costituzionali e procedurali.
4. Determinazione delle violazioni della libertà di religione o di credo (FoRB)
Ai fini del presente Rapporto, un episodio è considerato una violazione della libertà di religione o di credo (FoRB) quando soddisfa due criteri fondamentali. Il primo criterio per stabilire se un episodio costituisca una violazione della libertà di religione o di credo è che esso sia motivato da pregiudizio religioso. In secondo luogo, si deve considerare se la violazione sia stata intenzionale o non intenzionale da parte dell’autore nei confronti della vittima o delle vittime.
Nella maggior parte dei casi analizzati, la natura intenzionale della violazione risulta evidente, soprattutto quando l’azione è compiuta a causa della religione della vittima (ad esempio, attacchi contro fedeli, luoghi di culto o simboli religiosi). Tuttavia, il Rapporto prende in esame anche violazioni non intenzionali, ovvero atti o normative che, pur non avendo come obiettivo diretto la restrizione della libertà religiosa, producono comunque effetti negativi sull’esercizio di tale diritto.
Un esempio rilevante di violazione non intenzionale è rappresentato dalle restrizioni imposte durante la pandemia da COVID-19 (2020–2023). Un altro caso emblematico è quello dell’Islanda, dove una legge originariamente concepita per vietare la mutilazione genitale femminile è stata poi estesa a tutti i bambini per evitare discriminazioni basate sul sesso. Tale estensione ha finito per interferire con la pratica della circoncisione rituale, tradizionalmente osservata da alcune comunità religiose. In questo caso, la normativa non era motivata da ostilità religiosa, ma ha avuto comunque un impatto negativo sulla libertà di religione o di credo.
Per un elenco più ampio e dettagliato delle possibili violazioni della libertà religiosa, comprese quelle collegate ad altri diritti umani fondamentali, si rimanda alla pagina ufficiale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani:
http://www.ohchr.org/EN/Issues/FreedomReligion/Pages/Standards.aspx.
Per facilitare l’analisi dei casi e la classificazione degli episodi documentati, si invita inoltre a consultare la griglia esplicativa riportata alla fine del presente documento.
5. Determinazione del tipo di violazione della libertà di religione o di credo (FoRB) descritto nel Rapporto
Nel presente Rapporto, la violazione della libertà di religione o di credo (FoRB) è intesa come un processo dinamico, articolato in diverse fasi, talvolta sovrapposte. Le definizioni operative e i criteri di transizione da una fase all’altra sono delineati nel presente documento, sulla base delle migliori conoscenze attualmente disponibili. È tuttavia possibile che si verifichino delle eccezioni: per casi ambigui o dubbi interpretativi, si invita a contattare il Direttore Editoriale.
Una griglia esplicativa delle principali manifestazioni associate a ciascun livello di violazione è riportata alla fine del presente documento, elaborata sulla base delle fonti internazionali citate in precedenza.
I crimini d’odio sono inclusi in tutte le categorie di violazione della FoRB. Secondo la definizione dell’OSCE/ODIHR, si definiscono crimini d’odio: «Atti criminali motivati da pregiudizio o intolleranza nei confronti di determinati gruppi di persone. Per essere considerato tale, un crimine d’odio deve soddisfare due criteri: (1) l’atto deve costituire un reato secondo il diritto penale; (2) deve essere stato motivato da pregiudizio».
Nell’ambito del presente Rapporto, anche l’azione o l’inazione delle autorità giudiziarie nei confronti dei crimini d’odio è considerata un elemento determinante nella valutazione della situazione della libertà religiosa.
La nostra metodologia non include sistematicamente episodi di hate speech (incitamento all’odio), poiché attualmente non esiste una definizione giuridica internazionale condivisa del concetto, e tale reato non è riconosciuto in modo uniforme nei diversi ordinamenti giuridici.
Tuttavia, fanno eccezione i casi in cui siano state emesse condanne penali per incitamento all’odio: tali episodi possono essere segnalati nei profili Paese, in quanto rientrano nelle violazioni documentate.
Le manifestazioni delle violazioni possono assumere forme molto diverse, alcune delle quali classificate come crimini o atrocità. È importante sottolineare che non tutti i crimini costituiscono una violazione della libertà religiosa, così come un singolo atto atroce contro una persona non è sufficiente per configurare il reato di genocidio.
Tuttavia, la frequenza e la gravità di tali atti costituiscono indicatori rilevanti nell’analisi dei contesti in cui si verificano violazioni della FoRB.
Le dinamiche in atto nell’Africa subsahariana confermano l’evoluzione del fenomeno. In particolare, la crescente attività dei gruppi jihadisti ha determinato un aumento significativo degli episodi di violenza religiosa negli ultimi anni. Per ulteriori dati e approfondimenti, si rimanda alle mappe comparative elaborate dall’African Center for Strategic Studies, disponibili al seguente link: https://africacenter.org/spotlight/sahel-and-somalia-drive-uninterrupted-rise-in-african-militant-islamist-group-violence-over-past-decade/
Ai fini del nostro Rapporto, le principali tipologie di violazione della libertà di religione o di credo sono le seguenti:
a) Intolleranza
b) Discriminazione
c) Persecuzione
d) Genocidio
6. Classificazione
a) Tolleranza / Intolleranza.
Questa categoria comprende situazioni che vanno dall’assenza di problemi rilevanti a diversi gradi di intolleranza, i quali, in misura più o meno accentuata, sono presenti in ogni Paese e cultura. La condizione peggiora sensibilmente quando l’intolleranza si manifesta apertamente senza essere contestata dalle autorità competenti: in tali casi, si innesca una sorta di “nuova normalità”, in cui atteggiamenti ostili verso determinati gruppi religiosi vengono normalizzati e consolidati attraverso la ripetizione di messaggi non contrastati che li presentano come pericolosi o dannosi per la società. L’intolleranza si manifesta prevalentemente sul piano sociale e culturale: si riscontra in contesti come club sportivi, quartieri, articoli di stampa, discorsi politici, cultura popolare (cinema, televisione) e manifestazioni pubbliche. In alcuni casi, eventi o cortei nati per motivi non religiosi degenerano in atti di violenza contro gruppi religiosi o i loro beni, senza che le autorità intervengano per fermarli. L’assenza di una reazione ufficiale equivale, in tali circostanze, a una forma implicita di legittimazione delle manifestazioni di intolleranza. È importante sottolineare che, in questa fase, le persone colpite continuano ad avere accesso alla giustizia e i diritti alla non discriminazione sono formalmente garantiti. L’intolleranza non è ancora “discriminazione”. Gli atti di intolleranza, di norma, non rientrano nella sfera penale, fatta eccezione per i crimini d’odio – atti violenti motivati da pregiudizio – che possono invece essere perseguiti per legge. Al contrario, i discorsi d’odio (hate speech), non configurandosi come atti violenti, non rientrano nei crimini d’odio e sono raramente sanzionati penalmente, data l’assenza di una normativa condivisa a livello internazionale.
L’intolleranza è la forma di violazione più difficile da quantificare, poiché spesso si esprime come un sentimento diffuso e latente. Ciononostante, essa influenza profondamente il clima sociale, soprattutto quando si ripetono messaggi negativi che ritraggono una comunità religiosa come una minaccia per l’equilibrio sociale. In questi casi, l’eventuale contestazione proviene non da istituzioni, ma da singoli individui o opinion leader, che tendono ad attribuire le responsabilità a entità generiche come “i media”, “la cultura dominante” o specifici attori politici. Nei contesti occidentali, quando l’intolleranza sfocia in atti penalmente rilevanti, come l’imbrattamento di un luogo di culto con scritte offensive, le autorità giudiziarie tendono ad applicare la legge. Tuttavia, è frequente l’assenza di una chiara condanna da parte delle autorità politiche. Questo fenomeno è sempre più diffuso e altamente pernicioso, poiché accelera l’emergere di una discriminazione quasi politicamente accettata o addirittura “legale”. Di conseguenza, se la vittima non denuncia gli atti di intolleranza, creando un precedente documentato, oppure se le autorità (sia giudiziarie sia politiche) non reagiscono con fermezza, si apre la strada a sviluppi peggiori.
Anche gli atti di omissione, in cui l’elemento religioso viene deliberatamente rimosso dal contesto per secolarizzare un evento in cui esso gioca un ruolo positivo, rappresentano una forma di intolleranza. Un esempio ricorrente è offerto da notizie diffuse dai media su persone di fede che compiono azioni straordinarie — spesso motivate proprio dalla loro fede — ma in cui qualsiasi riferimento all’aspetto religioso viene omesso. Mentre gli stereotipi negativi mirano a trasmettere un’immagine distorta e denigratoria di una persona in base alla sua appartenenza religiosa, gli atti di omissione contribuiscono all’intolleranza eliminando ogni rappresentazione positiva della religione.
b) Discriminazione.
La discriminazione segue quando l’intolleranza non viene contestata. Può verificarsi a livello statale, quando leggi o prassi applicate a un determinato gruppo non vengono estese all’intera popolazione. Il segno distintivo della discriminazione è l’introduzione o l’applicazione di una norma che istituzionalizza un trattamento differenziato o introduce una distinzione nei confronti di una persona in base al gruppo, alla classe o alla categoria di appartenenza. La discriminazione può manifestarsi anche in ambito privato, in situazioni regolate dal diritto civile, quando soggetti non statali, come ad esempio i datori di lavoro, ne sono responsabili. Essa può essere diretta, quando le azioni negative sono chiaramente rivolte a un individuo appartenente a una determinata fede, proprio a causa della sua appartenenza religiosa. Può essere invece indiretta, quando una politica, una prassi o un criterio producono effetti sproporzionatamente negativi su persone a causa della loro fede religiosa. È il caso, ad esempio, di un’azienda che assuma esclusivamente professionisti in possesso di un determinato titolo di studio a cui l’accesso è di fatto impedito ai membri di un gruppo religioso. Nella maggior parte dei casi, il responsabile è lo Stato, che viola la libertà religiosa attraverso l’approvazione di regolamenti o leggi discriminatorie. Nei Paesi occidentali, tali violazioni si verificano spesso nell’ambito della libertà di coscienza (anch’essa tutelata dall’articolo 18), in particolare in relazione a determinati ambiti professionali o settori dell’istruzione, come quello sanitario. Le leggi sulla blasfemia, poiché pongono una fede al di sopra delle altre e tutelano un gruppo piuttosto che un individuo, emergono generalmente in questa fase. L’istituzione di una religione ufficiale o nazionale rappresenta una delle principali fonti di regolamentazioni discriminatorie. Sebbene la discriminazione possa essere considerata legale nell’ordinamento interno di uno Stato, essa resta contraria al diritto internazionale e dunque illegittima. È infatti vietata dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dalle convenzioni delle Nazioni Unite e dagli strumenti regionali, nonché dagli impegni assunti in sede OSCE. Le vittime, una volta esauriti i canali di ricorso nazionali, possono appellarsi alla comunità internazionale, a condizione che siano in grado di dimostrare — attraverso un’adeguata documentazione degli episodi — la natura reiterata delle violazioni e il sistematico rifiuto da parte delle autorità di garantire loro protezione. Tra le forme di discriminazione più comuni si annoverano: limitazioni nell’accesso al lavoro, inclusi incarichi pubblici; il diniego di aiuti di emergenza per motivi religiosi; l’impossibilità di accedere alla giustizia, di acquistare o riparare immobili, di risiedere in determinati quartieri o di esporre simboli religiosi.
c) Persecuzione.
La persecuzione rappresenta solitamente una fase successiva alla discriminazione e si caratterizza per la presenza di crimini d’odio più frequenti e crudeli. Gli atti persecutori, così come i crimini d’odio, sono commessi da autori mossi da pregiudizio e agiscono secondo convinzioni personali: in alcuni casi, l’identità religiosa della vittima può perfino essere ignota all’aggressore. Tali atti rientrano solitamente tra i reati contemplati dal diritto penale nazionale e/o dal diritto internazionale. Persecuzione e discriminazione spesso coesistono, rafforzandosi reciprocamente. Tuttavia, è possibile che in determinati contesti si registrino episodi di persecuzione da parte di gruppi terroristici locali anche in assenza di una discriminazione promossa dallo Stato. La persecuzione può manifestarsi attraverso programmi o campagne mirate allo sterminio, all’espulsione o alla sottomissione di persone in quanto appartenenti a un gruppo religioso. È il caso, ad esempio, di alcune aree dell’Africa, dove agricoltori cristiani sono sistematicamente presi di mira da pastori musulmani con l’obiettivo di espropriarli delle loro terre. Le autorità, pur consapevoli delle dinamiche religiose sottese a questi attacchi, preferiscono attribuire la violenza a fattori generici come la scarsità di risorse o il cambiamento climatico. Gli atti persecutori possono essere perpetrati anche da singoli individui, spesso influenzati dal discorso pubblico o da dinamiche collettive di pensiero. La persecuzione si configura in modo cumulativo: non è necessario che sia sistematica, né che risponda a una strategia pianificata.
Sia attori statali sia non statali possono essere responsabili di atti persecutori. In questa fase, tuttavia, le vittime non godono più di un accesso effettivo alla tutela legale da parte dello Stato. Gli autori dei crimini d’odio – se privati cittadini – vengono raramente puniti, poiché le autorità condividono, in modo implicito o esplicito, le motivazioni alla base delle aggressioni. Le vittime possono subire abusi legalizzati, espropri e, in casi estremi, essere uccise. La persecuzione può essere documentata attraverso testimonianze, inchieste giornalistiche, rapporti di ONG o di istituzioni governative, oppure grazie al lavoro di associazioni locali. Tuttavia, l’accertamento delle responsabilità è spesso ostacolato dal protrarsi della violenza e può richiedere anni.
La violenza accompagna frequentemente i processi persecutori. Le vittime appartenenti a gruppi religiosi minoritari possono essere soggette a omicidi, espropri, distruzione di beni, furti, deportazioni, esili, rapimenti, conversioni forzate, matrimoni forzati, accuse di blasfemia e altri abusi. Sebbene questi atti siano condannati a livello internazionale, possono essere formalmente giustificati dalla legislazione nazionale. Nei casi più gravi, la persecuzione può sfociare in genocidio, riconoscibile nell’intento esplicito di un gruppo di eliminare un altro e nell’incremento documentato di attacchi per frequenza e brutalità.
Nei Paesi in cui vige lo Stato di diritto (come nella maggior parte delle democrazie occidentali), i tribunali possono perseguire alcuni atti persecutori come crimini d’odio. In molti altri contesti, però, mancano rimedi legali per contrastare l’intolleranza o alcune forme di crimini d’odio, rendendo difficile la dimostrazione della persecuzione in sede giudiziaria.
Mentre i crimini d’odio sono spesso perpetrati da attori non statali, intolleranza e discriminazione, che raramente rientrano nella sfera del diritto penale, possono essere poste in essere sia da soggetti pubblici che privati.
d) Genocidio.
Il genocidio rappresenta la forma estrema di persecuzione, in cui solo il diritto internazionale sembra offrire una possibilità di intervento. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, adottata il 9 dicembre 1948, il genocidio è definito come una serie di «atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». (http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CrimeOfGenocide.aspx ).
Essere vittime di genocidio non implica necessariamente l’uccisione, gli atti previsti dalla Convenzione comprendono infatti:
- l’uccisione di membri del gruppo;
- il causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo;
- l’imposizione deliberata di condizioni di vita calcolate per provocare la distruzione fisica totale o parziale del gruppo;
- l’adozione di misure volte a impedire nascite all’interno del gruppo;
- il trasferimento forzato di bambini del gruppo in un altro gruppo.
La responsabilità, secondo il diritto internazionale, non ricade soltanto sugli autori materiali, ma anche su coloro che complottano per commettere genocidio, lo incitano o vi partecipano in modo complice.
Un riconoscimento significativo di tale crimine si è avuto con la risoluzione del Parlamento Europeo del 4 febbraio 2016, che ha qualificato come genocidio gli atti commessi da Daesh contro cristiani e yazidi. Numerosi Stati hanno successivamente adottato la stessa posizione, tra cui gli Stati Uniti. Inoltre, con l’adozione della Risoluzione 2379 il 21 settembre 2017, le Nazioni Unite hanno istituito un meccanismo volto ad accertare formalmente se i crimini di Daesh possano essere qualificati come genocidio (http://www.un.org/en/genocideprevention/genocide.html).
È particolarmente significativo osservare come i tiranni – siano essi attori statali o non statali – mirino spesso a controllare la composizione religiosa delle popolazioni che intendono sottomettere. Proprio per questo motivo, si rendono frequentemente responsabili di “misure” riconducibili al punto 4 della definizione di genocidio. Tra queste, il rapimento e la riduzione in schiavitù sessuale di donne e ragazze appartenenti a gruppi considerati indesiderabili costituiscono tattiche sempre più utilizzate da coloro che perseguono l’eliminazione – ovvero il genocidio – di tali comunità.
7. Attori e principali fattori che causano «intolleranza», «discriminazione», «persecuzione» e «genocidio»:
a) Attori
● Stato
● Attori non statali
b) Fattori Principali
- Autoritarismo. Forma di governo caratterizzata dalla concentrazione e centralizzazione del potere, mantenuto attraverso la repressione politica e l’esclusione sistematica di potenziali oppositori, incluse le comunità religiose. L’autoritarismo può manifestarsi sia mediante forme graduali e non violente di discriminazione (note come lawfare), sia attraverso persecuzioni aperte e violente. Un regime può assumere tratti autoritari quando disattende gli obblighi assunti nell’ambito della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, in particolare per quanto riguarda la libertà di religione o di credo.
- Nazionalismo etno-religioso. Ideologia che identifica l’identità nazionale con l’appartenenza a un determinato gruppo etnico e religioso, elevandolo a modello esclusivo di cittadinanza autentica. Tale visione esclude altri gruppi dalla piena partecipazione alla vita sociale, politica e culturale della nazione, e legittima forme di intolleranza, discriminazione e, nei casi più gravi, persecuzione.
- Estremismo religioso. Violenza e terrorismo perpetrati da gruppi estremisti che si richiamano a una religione per giustificare le proprie azioni. Tra questi si annoverano sia gruppi locali o affiliati a organizzazioni transnazionali come i Talebani (eccetto nel contesto afghano, dove costituiscono il governo de facto), Boko Haram, Stato Islamico, Al-Qaeda, Al-Shabab, tra gli altri. Questi attori colpiscono spesso comunità religiose diverse dalla propria, imponendo con la forza interpretazioni radicali e totalizzanti della fede.
- Estremismo secolarista. Tendenza, presente in alcune democrazie e sistemi politici, a marginalizzare la dimensione religiosa relegandola esclusivamente alla sfera privata, imponendo una visione ideologica secolare come unica legittima nello spazio pubblico. I credenti possono subire restrizioni nella manifestazione delle proprie convinzioni o essere puniti per aver rifiutato di conformarsi a valori o pratiche in contrasto con la propria fede..
- Criminalità Organizzata. I gruppi criminali mirano a esercitare un controllo territoriale e sociale che spesso entra in conflitto con l’azione delle comunità religiose e dei loro leader, i quali si oppongono alle violenze e difendono le vittime. Per questo motivo, le organizzazioni criminali possono diventare responsabili di minacce, intimidazioni, aggressioni o omicidi a danno di figure religiose e fedeli impegnati nella denuncia o nella resistenza a tali dinamiche.
8. Tendenze nel periodo analizzato e prospettive per i prossimi due anni
9. Analisi dei dati e risultati
L’analisi dei dati e i risultati sono presentati nel Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo (RFR) di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS). Il Rapporto aggrega le informazioni relative a 196 Paesi, classificandoli in base alla gravità delle violazioni della libertà religiosa — come persecuzione e discriminazione — e suddividendoli per aree geografiche. Sono inoltre evidenziate le principali tendenze emerse nel biennio considerato, illustrate anche in forma sintetica nella Sintesi, che offre una panoramica globale e regionale dei principali sviluppi.
Il sito del Rapporto di ACS contiene anche una sezione archivio liberamente consultabile delle edizioni precedenti della pubblicazione.
9.1 Profili Paese del Rapporto ACS sulla Libertà Religiosa nel Mondo
9.1 Profili Paese del Rapporto ACS sulla Libertà Religiosa nel Mondo
Ciascun profilo nazionale analizza la composizione religiosa del Paese e lo stato della libertà religiosa così come definito dal quadro giuridico vigente. Segue l’analisi degli episodi documentati di violazione e dei principali sviluppi registrati nel corso del biennio di riferimento. Ogni sezione si conclude con una valutazione sintetica delle prospettive future.
Una volta completata la raccolta delle informazioni, ciascun profilo nazionale è sottoposto a due cicli di verifica dei dati e revisione stilistica, prima dell’integrazione nel Rapporto finale e della successiva revisione da parte del Comitato Editoriale.
a) Demografia religiosa
Ogni profilo Paese si apre con una panoramica sulla composizione religiosa della popolazione, fornendo un contesto essenziale per comprendere la situazione religiosa interna e la diversità del Paese, premessa necessaria per l’analisi dei diritti e delle violazioni. La sezione riporta il numero assoluto e la percentuale degli aderenti alle principali religioni e ai sistemi di credenza, includendo anche i gruppi non religiosi come atei e agnostici, secondo la classificazione adottata dal World Religion Database (Brill/Boston University).
Fonti: I dati sono tratti da censimenti nazionali, statistiche ufficiali, studi accademici e banche dati internazionali, con riferimento prioritario al World Religion Database (Brill/Boston University).
b) Quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione
Questa sezione analizza sia le disposizioni legali che garantiscono la libertà di religione o di credo (FoRB), sia il grado in cui tali disposizioni vengono effettivamente applicate nella pratica.
- Quadro giuridico
L’analisi si articola secondo una struttura gerarchica:
● Garanzie costituzionali: valutazione della presenza di disposizioni costituzionali a tutela della libertà religiosa, e analisi della loro portata – se si tratta di un diritto assoluto oppure soggetto a restrizioni.
● Legislazione nazionale: esame delle leggi che regolano l’iscrizione dei gruppi religiosi; l’espressione religiosa (ad esempio, norme su abbigliamento, pratiche di culto); la conversione e l’attività di proselitismo; nonché le leggi su blasfemia, apostasia o diffamazione della religione. Sono inoltre considerate le disposizioni relative all’istruzione e all’insegnamento religioso.
● Conformità agli standard internazionali: valutazione del grado di allineamento tra la normativa nazionale e gli strumenti internazionali per la tutela dei diritti umani, quali il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR) e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR).
- Effettiva applicazione
Oltre ai testi normativi, questa sezione analizza le modalità con cui le leggi inerenti alla libertà religiosa sono concretamente applicate, rilevando:
● Disallineamenti tra norma e prassi: le tutele previste possono risultare inefficaci nella pratica.
● Applicazione discriminatoria: utilizzo selettivo o diseguale della normativa.
● Accesso limitato alla giustizia: ostacoli quali procedimenti penali arbitrari o mancata indagine delle violazioni.
● Parzialità delle istituzioni: coinvolgimento del potere giudiziario, delle forze dell’ordine o di funzionari pubblici in pratiche lesive della libertà religiosa.
● Applicazione amministrativa: analisi di come le autorità pubbliche (polizia, funzionari locali, ecc.) applicano, ignorano o manipolano le disposizioni giuridiche che incidono sui gruppi religiosi.
● Norme informali o consuetudinarie: in alcuni contesti, la libertà religiosa è influenzata da consuetudini religiose o tradizionali applicate al di fuori del sistema legale formale.
c) Episodi rilevanti e sviluppi
Questa sezione documenta le violazioni della libertà religiosa o di credo (FoRB) registrate nel periodo di riferimento biennale. Gli episodi sono frequentemente mappati geograficamente e ordinati cronologicamente, al fine di individuare schemi ricorrenti e tendenze emergenti.
Accanto alle violazioni, vengono evidenziati anche alcuni sviluppi significativi che influenzano lo stato della libertà religiosa. Tali sviluppi possono avere origine da iniziative governative, attività della società civile o dinamiche internazionali, riflettendo più ampie trasformazioni politiche e sociali. Possono essere di natura negativa, ambivalente o positiva, includendo, ad esempio, progressi nella tutela e promozione della libertà religiosa tramite iniziative di dialogo interreligioso, azioni di pace guidate da leader religiosi, programmi interconfessionali o interventi educativi volti a promuovere la tolleranza.
Questi elementi contribuiscono a contestualizzare le cause e le conseguenze degli episodi documentati (ad esempio, una nuova legge che ha determinato un aumento degli arresti) e arricchiscono l’analisi delle prospettive future, segnalando l’evoluzione delle politiche pubbliche.
La struttura del resoconto varia in funzione del numero di episodi rilevati. Nei Paesi in cui le violazioni sono numerose, esse vengono raggruppate e sintetizzate per garantire chiarezza espositiva, pur mantenendo un livello di dettaglio adeguato. La documentazione è sempre accompagnata da fonti di riferimento.
Le tipologie di episodi sono classificate in base alla natura della violazione della libertà religiosa e al contesto specifico del Paese. Tra le categorie considerate figurano:
Violenza fisica o minacce
- Rapimenti o detenzioni arbitrarie
- Discriminazione in ambito lavorativo, educativo o nell’accesso ai servizi pubblici
- Distruzione o profanazione di luoghi di culto e beni religiosi
- Conversioni forzate o cosiddette “conversioni obbligate”
Il Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo di ACS fornisce una documentazione ampia e verificabile. Ogni episodio è corredato da fonti attendibili, tra cui articoli di stampa, documentazione di organizzazioni della società civile, testimonianze dirette, dichiarazioni ufficiali e rapporti di organismi governativi o intergovernativi.
d) Prospettive per la libertà religiosa
Questa sezione, di carattere prospettico, propone una previsione ragionata sull’evoluzione probabile della libertà di religione o di credo (FoRB) nel Paese, fondata sull’analisi delle condizioni attuali e delle dinamiche contestuali più ampie. Essa fornisce una breve valutazione dei potenziali miglioramenti o peggioramenti dell’ambiente normativo, sociale e politico relativo alla FoRB.
L’analisi considera una pluralità di fattori, tra cui:
· gli sviluppi interni più recenti, incluse riforme legislative o regressioni normative in materia di libertà religiosa
· le tendenze politiche o sociali emergenti, come l’ascesa del nazionalismo religioso o i processi di secolarizzazione
· decisioni giudiziarie significative o progetti di legge in discussione e il loro impatto atteso sulla libertà religiosa
· le influenze regionali, tra cui la condizione della FoRB nei Paesi confinanti, eventuali effetti transfrontalieri e i movimenti di rifugiati
· il ruolo della pressione internazionale, comprendente sanzioni, iniziative diplomatiche e attività di advocacy
Questa sezione contribuisce a una comprensione più approfondita dell’evoluzione della libertà religiosa in ciascun contesto nazionale, offrendo un’interpretazione degli episodi e dei cambiamenti normativi alla luce di uno scenario regionale e internazionale più ampio.
9.2 La Sintesi del Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo di ACS
La Sintesi del Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) fornisce una sintesi chiara e concisa dei principali risultati emersi dall’analisi globale. Evidenzia le sfide più rilevanti alla libertà di religione o di credo (FoRB) e offre una valutazione complessiva delle prospettive a livello mondiale.
La Sintesi comprende:
a) i Risultati principali, che identificano le sfide più significative alla libertà religiosa, classificando le violazioni documentate secondo le categorie di intolleranza, discriminazione e persecuzione.
b) Le Analisi regionali, delle sei macro-aree identificate: America Latina e Caraibi; Medio Oriente e Nord Africa; Africa subsahariana; Asia-Pacifico marittima; Asia continentale; e Paesi dell’area OSCE. Ciascuna regione—definita sulla base della composizione religiosa e della configurazione geopolitica—viene esaminata in relazione all’evoluzione della libertà religiosa nel periodo di riferimento, con particolare attenzione ai rischi emergenti, ai segnali di progresso e alle dinamiche specifiche del contesto regionale.
La suddivisione regionale dei Paesi è riportata nella sezione seguente.
| America Latina e Caraibi | Medio Oriente e Nord Africa | Africa subsahariana | Asia-Pacifico marittima | Asia continentale | Paesi dell’area OSCE |
1. Antigua e Barbuda 2. Argentina 3. Bahamas 4. Barbados 5. Belize 6. Bolivia 7. Brasile 8. Cile 9. Colombia 10. Costa Rica 11. Cuba 12. Dominica 13. Ecuador 14. El Salvador 15. Grenada 16. Guatemala 17. Guyana 18. Haiti 19. Honduras 20. Giamaica 21. Messico 22. Nicaragua 23. Panama 24. Paraguay 25. Perù 26. Repubblica Dominicana 27. Saint Kitts e Nevis 28. Saint Lucia 29. Saint Vincent e Grenadine 30. Suriname 31. Trinidad e Tobago 32. Uruguay 33. Venezuela | 34. Afghanistan 35. Algeria 36. Bahrein 37. Egitto 38. Iran 39. Iraq 40. Israele 41. Giordania 42. Kuwait 43. Libano 44. Libia 45. Marocco 46. Oman 47. Pakistan 48. Palestina e Gaza 49. Qatar 50. Arabia Saudita 51. Siria 52. Tunisia 53. Turchia 54. Emirati Arabi Uniti 55. Yemen | 56. Angola 57. Benin 58. Botswana 59. Burkina Faso 60. Burundi 61. Camerun 62. Capo Verde 63. Ciad 64. Comore 65. Congo 66. Congo (Repubblica Democratica del) 67. Costa d’Avorio 68. Djibouti 69. Eritrea 70. Eswatini (Swaziland) 71. Etiopia 72. Gabon 73. Gambia 74. Ghana 75. Guinea Bissau 76. Guinea Conakry 77. Guinea Equatoriale 78. Kenya 79. Lesotho 80. Liberia 81. Madagascar 82. Malawi 83. Mali 84. Mauritania 85. Mauritius 86. Mozambico 87. Namibia 88. Niger 89. Nigeria 90. Repubblica Centrafricana 91. Ruanda 92. São Tomé e Príncipe 93. Senegal 94. Seychelles 95. Sierra Leone 96. Somalia 97. Sudafrica 98. Sudan 99. Sudan del Sud 100. Tanzania 101. Togo 102. Uganda 103. Zambia 104. Zimbabwe | 105. Australia 106. Brunei 107. Filippine 108. Figi 109. Indonesia 110. Isole Marshall 111. Isole Salomone 112. Kiribati 113. Malaysia 114. Maldive 115. Micronesia 116. Nauru 117. Nuova Zelanda 118. Palau 119. Papua Nuova Guinea 120. Samoa 121. Timor Est 122. Tonga 123. Tuvalu 124. Vanuatu
| 125. Bangladesh 126. Bhutan 127. Cambogia 128. Cina 129. Corea del Nord 130. Corea del Sud 131. Giappone 132. India 133. Laos 134. Mongolia 135. Myanmar 136. Nepal 137. Singapore 138. Sri Lanka 139. Taiwan 140. Thailandia 141. Vietnam
| 142. Albania 143. Andorra 144. Armenia 145. Austria 146. Azerbaigian 147. Belgio 148. Bielorussia 149. Bosnia-Erzegovina 150. Bulgaria 151. Canada 152. Cipro 153. Croazia 154. Danimarca 155. Estonia 156. Finlandia 157. Francia 158. Georgia 159. Germania 160. Grecia 161. Irlanda 162. Islanda 163. Italia 164. Kazakistan 165. Kirghizistan 166. Kosovo 167. Lettonia 168. Liechtenstein 169. Lituania 170. Lussemburgo 171. Macedonia del Nord 172. Malta 173. Moldavia 174. Monaco 175. Montenegro 176. Norvegia 177. Paesi Bassi 178. Polonia 179. Portogallo 180. Regno Unito 181. Repubblica Ceca 182. Romania 183. Russia 184. San Marino 185. Serbia 186. Slovacchia 187. Slovenia 188. Spagna 189. Svezia 190. Svizzera 191. Tagikistan 192. Turkmenistan 193. Ucraina 194. Ungheria 195. Stati Uniti d’America 196. Uzbekistan
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c) L’Analisi Globale delinea le principali tendenze e minacce, a livello internazionale e transnazionale, che incidono sulla libertà di religione o di credo (FoRB).
d) I Casi Studio offrono un’analisi approfondita di eventi, individui o gruppi specifici, illustrando questioni più ampie connesse alla libertà di religione o di credo (FoRB). Essi forniscono un contesto dettagliato, elementi critici e una prospettiva umana, utili a evidenziare l’impatto concreto delle violazioni e l’emergere di modelli ricorrenti.
e) Gli Approfondimenti propongono analisi mirate su specifici aspetti relativi all’origine, allo sviluppo e alle implicazioni delle violazioni della libertà religiosa. Offrono un quadro interpretativo essenziale per comprendere in profondità le dinamiche analizzate nel Rapporto..
f) La Griglia e la Mappa di categorizzazione valutano lo stato della libertà religiosa nei singoli Paesi, classificandoli in base alla presenza di discriminazione o persecuzione. La mappa utilizza una codifica cromatica: rosso per indicare i Paesi in cui si registra persecuzione, arancione per quelli soggetti a discriminazione.
g) Le Infografiche, elaborate a partire da un’analisi statistica delle violazioni documentate, presentano in forma visiva i principali dati quantitativi emersi dal Rapporto, facilitando la comprensione delle tendenze globali e regionali.
10. Esempio di griglia di categorizzazione (da usare come riferimento)
● In ogni caso, l’episodio deve manifestare un chiaro movente religioso[1] e non essere attribuibile esclusivamente a una condizione di insicurezza generale.
● I “crimini d’odio” si riscontrano trasversalmente in tutte le categorie e sono definiti come atti di violenza fisica rivolti contro persone o proprietà, motivati da pregiudizi religiosi.
● La categoria “sotto osservazione” viene attribuita ai Paesi in cui si registra un numero rilevante di episodi riconducibili a due o più categorie di violazione, ma che non risultano ancora sufficienti per classificare il Paese in modo definitivo come soggetto a discriminazione o persecuzione.
| Categoria | (elenco indicativo, trattandosi degli atti più frequenti) | Sì | Aumento della frequenza? | No | |
| A | Intolleranza | ||||
| 1 | Minacce | ||||
| 2 | Discorsi d’odio, anche con incitazione alla violenza | ||||
| 3 | Intimidazioni | ||||
| 4 | Vandalismo | ||||
| TOTALE A | |||||
| B | Discriminazione (diretta e indiretta)[2] | ||||
| 1 | Religione ufficiale imposta | ||||
| 2 | Nessuna possibilità di conversione (conseguenza della religione ufficiale imposta) | ||||
| 3 | Possibile accusa di blasfemia | ||||
| 4 | Divieto di culto al di fuori dei templi | ||||
| 5 | Nessun accesso alla proprietà (né possibilità di riparare o mantenere proprietà) | ||||
| 6 | Nessuna protezione o sicurezza dei beni | ||||
| 7 | Nessun accesso a determinati lavori | ||||
| 8 | Nessun accesso a cariche pubbliche | ||||
| 9 | Nessun accesso ai finanziamenti | ||||
| 10 | Nessun accesso a determinati tipi o livelli di istruzione | ||||
| 11 | Divieto di esporre simboli religiosi | ||||
| 12 | Nessun diritto di nominare il clero | ||||
| 13 | Impossibilità di osservare festività religiose | ||||
| 14 | Divieto di evangelizzazione, nessun materiale disponibile | ||||
| 15 | Divieto di comunicazione con altri gruppi religiosi nazionali e internazionali | ||||
| 16 | Nessun diritto di possedere mezzi di comunicazione | ||||
| 17 | Nessun diritto di istituire e finanziare enti caritativi e umanitari | ||||
| 18 | Nessun diritto all’obiezione di coscienza o a “ragionevoli accomodamenti” sul posto di lavoro e nella prestazione di servizi | ||||
| TOTALE B | |||||
| C | Persecuzione | Tutti i crimini contro l’umanità elencati all’Articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, tra cui: | |||
| 1 | Omicidio | ||||
| 2 | Sterminio (uccisione di massa) | ||||
| 3 | Riduzione in schiavitù | ||||
| 4 | Deportazione o trasferimento forzato della popolazione | ||||
| 5 | Detenzione o altra grave privazione della libertà fisica | ||||
| 6 | Tortura, aggressione fisica, mutilazione, percosse, menomazione | ||||
| 7 | Stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata o qualsiasi altra forma di violenza sessuale di gravità comparabile | ||||
| 8 | Sparizione forzata | ||||
| 9 | Espropriazione di edifici, beni, fondi, anche se formalmente “legale” | ||||
| 10 | Occupazione di proprietà | ||||
| 11 | Grave limitazione della libertà di espressione, pene severe o punizioni sproporzionate | ||||
| 12 | Intimidazione, minacce | ||||
| 13 | Danneggiamento di proprietà (anche rappresentative del gruppo religioso, non solo proprietà individuali) | ||||
| 14 | Apartheid | ||||
| 15 | Qualsiasi altro crimine (inclusi atti disumani che causano intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni) | ||||
| TOTALE C | |||||
| D | Genocidio | ||||
| 1 | Uccisione di membri del gruppo | ||||
| 2 | Causare gravi danni fisici o psichici (inclusa la violenza sessuale) | ||||
| 3 | Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica totale o parziale | ||||
| 4 | Imposizione di misure intese a impedire nascite all’interno del gruppo, inclusa la violenza sessuale | ||||
| 5 | Trasferimento forzato di bambini del gruppo verso un altro gruppo | ||||
| TOTALE D | |||||
| 41 | TOTALE A+B+C+D (X/41) | ||||
[1] Il pregiudizio religioso può includere manifestazioni meno evidenti, quali:
a) Stereotipizzazione negativa, oppure essere vittima del multiculturalismo/politiche identitarie (cioè quando le autorità pubbliche si sforzano di accogliere altre religioni ma non offrono gli stessi benefici ai cristiani). Può anche includere un pregiudizio per omissione (es. censura/secolarizzazione di festività come Pasqua e Natale).
b) Mancanza di tolleranza o di accomodamento dovuta all’analfabetismo religioso. Ad esempio, studenti universitari esclusi dai corsi per aver espresso opinioni cristiane sui social media, oppure dipendenti puniti o licenziati per aver manifestato la propria fede o per essersi rifiutati di compiere azioni contrarie ai propri principi religiosi (es. uso forzato di pronomi transgender).
c) Cancel culture dovuta alle convinzioni della persona o dell’organizzazione “cancellata”.
d) Rifiuto di riconoscere l’obiezione di coscienza (es. obbligo per i farmacisti di prescrivere farmaci abortivi).
e) Pregiudizio burocratico – mancato rilascio di visti, divieto di affitto di spazi per eventi, marginalizzazione da parte delle autorità pubbliche.
f) Intolleranza per omissione – rifiuto o incapacità del governo di identificare o affrontare problematiche che marginalizzano i cristiani.
[2] Discriminazione indiretta: politiche, criteri o prassi che pongono i cristiani in una posizione di svantaggio rispetto ad altri segmenti della popolazione.
Ad esempio: obbligare le agenzie cattoliche per le adozioni a rivolgersi a coppie dello stesso sesso oppure introdurre un’educazione moralmente discutibile senza riconoscere ai genitori cristiani il diritto di esonerare i propri figli.