Quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione
La Costituzione del 2006 della Repubblica Democratica del Congo (RDC) sancisce il carattere laico dello Stato (articolo 1) e garantisce il rispetto del pluralismo delle opinioni (articolo 24). Essa vieta ogni forma di discriminazione fondata sull’origine etnica, la religione o le opinioni (articolo 13), e riconosce a tutte le persone il diritto di manifestare liberamente la propria fede, sia in pubblico che in privato (articolo 22) [1].
È riconosciuta la libertà di costruire luoghi di culto e di raccogliere fondi per le attività religiose, sia a livello nazionale che internazionale. Tutte le confessioni godono del diritto di svolgere attività di proselitismo, inclusa la trasmissione dell’insegnamento religioso ai minori. Alcuni predicatori esercitano la loro attività in spazi pubblici, come mercati, incroci stradali e mezzi di trasporto collettivo.
L’insegnamento della religione è previsto nel curriculum scolastico ufficiale. La Costituzione stabilisce che «gli istituti educativi nazionali provvedono, in collaborazione con le autorità religiose, a garantire l’istruzione degli alunni secondo le convinzioni religiose dei genitori che ne facciano richiesta». L’articolo 74 fa esplicito riferimento a Dio, prevedendo che il Presidente eletto debba «giurare davanti a Dio e alla Nazione» al momento dell’assunzione della carica.
L’insegnamento della religione è previsto nel programma scolastico ufficiale. La Costituzione stabilisce che «gli istituti educativi nazionali provvedono, in collaborazione con le autorità religiose, a garantire l’istruzione degli alunni secondo le convinzioni religiose dei genitori che ne facciano richiesta». L’articolo 74 fa esplicito riferimento a Dio, prevedendo che il Presidente eletto debba «giurare davanti a Dio e alla Nazione» al momento dell’assunzione della carica[2].
Nel 1977, il governo dell’allora Repubblica dello Zaire (denominazione ufficiale del Paese fino al 1997) ha sottoscritto una Convenzione scolastica con le comunità cattolica, protestante, kimbanguista e islamica[3]. Inoltre, nel 2016, la RDC ha firmato un accordo quadro con la Santa Sede, riguardante, tra l’altro, le istituzioni educative cattoliche, l’insegnamento religioso nelle scuole, l’assistenza pastorale all’interno delle forze armate, delle carceri e degli ospedali, nonché questioni fiscali, visti e permessi di soggiorno per il personale religioso[4].
Numerose comunità religiose gestiscono una rete capillare di servizi, tra cui scuole, centri sanitari, orfanotrofi e mezzi di comunicazione. A Kinshasa, gran parte delle emittenti televisive e radiofoniche appartiene a diverse confessioni cristiane.
Pur nel rispetto del principio di laicità, la Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) e il Consiglio ecumenico del Congo (COE) esercitano un’influenza significativa nella vita pubblica del Paese[5], soprattutto in ambito sociale, educativo ed economico.
Nel marzo 2023, il Presidente Félix-Antoine Tshisekedi ha promulgato l’Ordinanza-legge n. 23/009, successivamente ratificata dal Parlamento, che ha sostituito la repressiva legge sulla stampa del 1996. La nuova normativa ha introdotto un quadro più moderno per la libertà di stampa; tuttavia, non ha depenalizzato i reati legati all’attività giornalistica, consentendo ancora l’avvio di procedimenti penali contro i giornalisti. La norma introduce inoltre il concetto di «mala fede», permettendo sanzioni per la diffusione di «notizie false» suscettibili di compromettere l’ordine pubblico, in particolare se relative alle forze armate o all’autorità dello Stato. La formulazione ambigua della legge lascia ampi margini di discrezionalità nell’interpretazione e nell’applicazione da parte delle autorità[6].
Il 13 marzo 2024, il Ministero della Giustizia ha annunciato la revoca ufficiale della moratoria sulla pena di morte, in vigore dal 2003. La pena capitale sarà nuovamente applicabile per reati quali tradimento, terrorismo, spionaggio, crimini di guerra, ribellione e associazione criminale. Il governo ha giustificato la decisione come misura necessaria per contrastare il terrorismo urbano e punire i presunti “traditori” all’interno delle forze armate[7]. A inizio gennaio 2025, fonti ufficiali hanno confermato il trasferimento di almeno 170 detenuti in vista dell’esecuzione[8].
Nel luglio 2024, lo stesso Ministero ha annunciato una nuova misura urbanistica che vieta la costruzione di chiese entro un raggio di 500 metri da un luogo di culto già esistente. Tale disposizione è stata ampiamente interpretata come un tentativo di arginare la crescente proliferazione di chiese carismatiche e pentecostali, particolarmente attive nei centri urbani[9].
Episodi rilevanti e sviluppi
La Repubblica Democratica del Congo continua a figurare tra i Paesi con il più basso indice di sviluppo umano al mondo. Nonostante l’abbondanza di risorse naturali, oltre il 62 percento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà[10]. Corruzione endemica, malgoverno e conflitti armati prolungati compromettono la stabilità politica e lo sviluppo socioeconomico.
Nel maggio 2024, il Paese ha formato un nuovo governo, ponendo fine a cinque mesi di paralisi politica seguiti alla rielezione del Presidente Félix Tshisekedi nel dicembre precedente. La nomina del nuovo esecutivo, composto da 54 membri, è avvenuta appena dieci giorni dopo il fallimento di un tentato colpo di Stato, rafforzando le pressioni per una rapida normalizzazione istituzionale[11].
Il Presidente Félix-Antoine Tshisekedi è stato oggetto di critiche per non aver saputo valorizzare efficacemente le ingenti risorse minerarie del Paese, stimate in circa 24.000 miliardi di dollari, tra cui figurano cobalto e coltan. Nonostante gli elevati introiti generati da tali risorse, la povertà rimane endemica: secondo la Banca Mondiale, la RDC continua a collocarsi tra i cinque Paesi più poveri al mondo. La ricchezza naturale della nazione continua a essere saccheggiata, complice un conflitto che da quasi trent’anni infiamma le regioni orientali, in parte come conseguenza del genocidio ruandese del 1994[12].
Dall’inizio del 2023, la situazione della sicurezza si è ulteriormente deteriorata, in particolare nell’est del Paese, dove oltre 120 gruppi armati si contendono il controllo delle aree ricche di risorse[13]. Tra questi, il Movimento del 23 marzo (M23), gruppo paramilitare tutsi sostenuto dal Ruanda, ha lanciato vaste offensive provocando l’ennesima ondata di sfollamenti forzati nelle province del Nord e Sud Kivu. L’M23 finanzia le proprie attività attraverso lo sfruttamento illegale dei minerali, in particolare del cobalto[14].
Nel 2024, la RDC è risultata, dopo la Siria, il Paese più colpito al mondo dalle attività dello Stato Islamico (IS) in termini di numero di vittime. Il gruppo affiliato all’IS, le Forze Democratiche Alleate (ADF), ha giocato un ruolo determinante nel deterioramento del quadro umanitario, nel favorire lo sfollamento di massa e nella destabilizzazione delle province orientali[15]. Originariamente nato in Uganda, le ADF hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico nel 2017 ed è stato formalmente integrato nella cosiddetta Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico (ISCAP) nel 2019[16]. Secondo uno studio pubblicato nel 2024, le ADF sono state il gruppo armato più letale dell’anno nella regione orientale, responsabile del 52 percento delle morti civili registrate[17]. Dopo l’allineamento con l’IS, ha intensificato gli attacchi sia contro le forze di sicurezza congolesi sia contro i civili. Nonostante le offensive militari in corso, il gruppo rimane una delle principali minacce alla sicurezza nazionale[18].
Sebbene molte delle violenze non siano direttamente motivate da ragioni religiose, l’instabilità strutturale e il protrarsi del conflitto armato hanno ripercussioni significative sulla libertà religiosa[19]. In diverse aree del Paese, le comunità religiose subiscono interruzioni della vita liturgica, limitazioni alla pratica del culto e una crescente esposizione a minacce e atti di violenza, in particolare per le minoranze religiose e i leader spirituali. A questi si aggiungono attacchi mirati a sfondo confessionale, soprattutto nelle province orientali, dove gruppi islamisti militanti prendono deliberatamente di mira chiese, congregazioni e celebrazioni cristiane[20].
A causa dell’elevato numero di episodi registrati nel periodo di riferimento, è possibile offrire solo una selezione dei casi più significativi[21].
Nel gennaio 2023, miliziani delle Forze Democratiche Alleate (ADF) hanno fatto esplodere un ordigno durante una funzione religiosa nella città di Kasindi[22], provincia del Nord Kivu, provocando la morte di 14 cristiani e il ferimento di altri 63. L’attentato si inserisce in un più ampio schema di violenze sistematiche contro la comunità cristiana nell’est del Paese.
Nel marzo 2023, in un periodo di due settimane, i militanti delle ADF hanno ucciso 72 cristiani in diverse località orientali, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le proprie abitazioni. In uno degli episodi più gravi, 31 civili – in prevalenza donne e bambini – sono stati massacrati[23].
Tra il 31 luglio e il 14 agosto 2023, le ADF hanno condotto una serie di incursioni nei villaggi delle province dell’Ituri e del Nord Kivu, causando almeno 55 vittime civili. A Batangi-Mbau, nel territorio di Beni, 19 persone sono state uccise[24]. Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre 2023, i miliziani delle ADF hanno lanciato un violento attacco contro il quartiere di Masosi, nei pressi di Oicha, nel Nord Kivu. Ventisei civili sono stati uccisi, tra cui almeno 12 bambini. Gli aggressori hanno incendiato 12 abitazioni e saccheggiato diversi esercizi commerciali. Un giovane leader cristiano locale ha testimoniato che gli spari, proseguiti per circa un’ora, hanno provocato il panico tra la popolazione, costringendola alla fuga[25].
A metà novembre 2023, le ADF hanno attaccato un altro villaggio nel territorio di Beni, uccidendo almeno 19 civili con machete e altre armi da taglio, dopo averli immobilizzati. Anche in questo caso,le violenze hanno generato un’ondata di terrore nella comunità locale, spingendo molti a fuggire[26].
Nel dicembre 2023, padre Léopold Feyen, 82 anni, noto come “Koko Pol”, è stato ucciso a coltellate nella sua abitazione nel quartiere Masina di Kinshasa, dopo che ignoti si erano introdotti nella sua camera da letto. Salesiano con circa quarant’anni di servizio missionario nel Paese, era ancora impegnato nel sostegno a scuole e progetti comunitari locali, nonostante l’età avanzata e le condizioni di salute precarie[27].
Secondo un rapporto pubblicato dal Middle East Media Research Institute (MEMRI), nei primi sei mesi del 2024 lo Stato Islamico ha ucciso 698 cristiani in Africa. Il 92 percento delle vittime è stato registrato nella Repubblica Democratica del Congo, a conferma della gravità della minaccia nel contesto congolese rispetto ad altri Paesi africani colpiti, come Mozambico, Nigeria, Camerun e Mali[28].
Il 30 gennaio 2024, le ADF hanno attaccato una chiesa pentecostale branhamista nel territorio di Beni, uccidendo cinque persone con armi da taglio. In quell’occasione sono state rapite 30 persone, successivamente trattenute come ostaggi[29].
Nel febbraio 2024, miliziani armati hanno attaccato un incontro di preghiera nella chiesa del villaggio di Manzia, uccidendo almeno 15 cristiani, tra cui il pastore principale, Alphonse Mumbere. La sua famiglia è sopravvissuta al massacro[30]. Nello stesso mese, membri delle ADF hanno preso d’assalto un’altra chiesa a Bayeti, rapendo il pastore e sua moglie e uccidendo cinque persone, tra cui i loro figli.
Nel maggio 2024, Papa Francesco ha condannato l’uccisione di 14 cattolici nel Nord Kivu[31], presumibilmente assassinati per aver rifiutato di convertirsi all’Islam. Durante un discorso pubblico, il Pontefice ha onorato la loro testimonianza di fede dichiarando: «Desidero fermarmi e ringraziare Dio per la testimonianza di martirio che un gruppo di cattolici del Congo, del Nord Kivu, ha dato in questi giorni»[32].
Tra il 4 e il 7 giugno 2024, sospetti militanti delle ADF hanno condotto una serie di attacchi coordinati contro diversi villaggi del territorio di Beni, nel Nord Kivu, uccidendo tra 42 e 57 civili con armi da fuoco, machete e incendi. Questi assalti si inseriscono in un’escalation di violenze che, entro metà giugno, aveva già provocato circa 150 morti[33].
L’8 giugno 2024, ribelli sospettati di appartenere alle ADF, hanno lanciato nuove offensive notturne contro vari villaggi nel territorio di Beni, causando la morte di almeno 38 persone. Secondo fonti locali, gli aggressori hanno approfittato dell’assenza di copertura militare per colpire simultaneamente più comunità cristiane, senza incontrare resistenza[34].
In risposta a questi massacri, il 18 giugno 2024, monsignor Melchisédec Sikuli Paluku, vescovo della diocesi di Butembo‑Beni, ha rivolto un appello urgente alle autorità nazionali, chiedendo la fine delle sofferenze del popolo congolese. Nel suo messaggio ha condannato con forza i crimini commessi dalle ADF nel Nord Kivu, esortando il governo a «ristabilire sicurezza e dignità nella popolazione della diocesi»[35].
Il 24 luglio 2024, i resti di oltre 30 persone sono stati scoperti nell’area di Batangi‑Mbau, nel territorio di Beni, dopo un brutale attacco delle ADF contro una comunità cristiana locale. Molte vittime risultavano decapitate[36].
La situazione ha continuato ad aggravarsi anche dopo il periodo in esame. Nel gennaio 2025, le forze del M23, sostenute dal Ruanda, hanno conquistato Goma, capitale del Nord Kivu e principale città dell’est del Paese, provocando oltre 2.000 morti, un numero analogo di feriti e numerosi episodi di violenza sessuale[37]. La missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (MONUSCO) aveva già concluso la propria presenza nel Sud Kivu nel giugno 2024[38] e, nel gennaio 2025, anche la capitale provinciale Bukavu è caduta sotto il controllo dell’M23[39].
Tra il 12 e il 15 febbraio 2025, oltre 70 corpi sono stati rinvenuti all’interno di una chiesa protestante nel villaggio di Maiba, vicino Lubero, nella provincia del Nord Kivu. Le vittime – tra cui donne, bambini e anziani – erano state legate e poi decapitate. Secondo fonti locali, il 12 febbraio miliziani presumibilmente appartenenti alle ADF avevano preso in ostaggio circa 100 persone, poi condotte nella chiesa dove sono state uccise brutalmente[40].
La Chiesa cattolica e le organizzazioni della società civile hanno da sempre svolto un ruolo cruciale nel denunciare abusi politici e ingiustizie sociali, oltre che nel sostenere l’istruzione, l’assistenza sanitaria e iniziative di costruzione della pace. Durante tutto il periodo di riferimento, la Chiesa cattolica ha continuato a denunciare l’incessante violenza nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) [41].
Nel gennaio 2023, Papa Francesco ha effettuato la prima visita di un pontefice nella RDC dal 1985, condannando lo sfruttamento delle risorse minerarie da parte di attori internazionali. «Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo», ha dichiarato. «Basta soffocare l’Africa. Non è una miniera da sfruttare né un terreno da saccheggiare»[42].
Il 16 giugno 2023, i vescovi cattolici della provincia ecclesiastica di Bukavu – che comprende Goma e Butembo‑Beni – hanno pubblicato un appello congiunto dal titolo «Che il governo si assuma le proprie responsabilità», affrontando la crisi sempre più grave nell’est del Paese e condannando l’incapacità dello Stato di proteggere i cittadini. Nella dichiarazione, i vescovi hanno denunciato l’inefficacia del governo nel contenere le violenze perpetrate dalle milizie armate, le quali hanno preso il controllo di aree ricche di risorse e riacceso il conflitto attraverso tattiche terroristiche. L’episcopato ha inoltre descritto come questi gruppi abbiano gravemente ostacolato le attività pastorali, massacrando civili anche in zone formalmente sotto protezione militare. I vescovi hanno criticato il ricorso a forze straniere con mandati poco chiari e invocato una piena assunzione di responsabilità nella salvaguardia della popolazione[43].
Nell’ottobre 2023, i vescovi dell’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale (ACEAC) hanno proposto un Piano Pastorale per la Pace, presentato a Goma tra gennaio e febbraio 2024. Monsignor Moko ha lanciato un appello ai leader politici dell’Africa centrale e della regione dei Grandi Laghi, così come alla comunità internazionale, affinché collaborino per risolvere la crisi in Corso a Goma[44].
Nell’agosto 2024, la Conferenza episcopale nazionale del Congo (CEDCO) ha diffuso una dichiarazione incisiva, esortando i governi della RDC e del Ruanda a rispettare il nuovo accordo di cessate il fuoco, volto a stabilizzare l’est del Paese. L’organismo ha sottolineato la gravità della crisi umanitaria generata dal conflitto armato, che ha provocato oltre 5,5 milioni di sfollati, e ha invitato la comunità internazionale a riservare alla situazione della RDC la stessa attenzione attribuita ad altri conflitti globali, come quelli in Ucraina e in Medio Oriente[45].
Le dichiarazioni pubbliche delle Conferenze episcopali hanno suscitato dure reazioni da parte di membri del governo, in particolare del Vice Primo Ministro Jean‑Pierre Bemba. Il 4 dicembre 2024, intervenendo su Top Congo FM, Bemba ha accusato membri del clero — da lui definiti «politici in abiti religiosi» — di pronunciare discorsi carichi d’odio contro il governo. Ha inoltre affermato che il Presidente Tshisekedi avrebbe stanziato un milione di dollari statunitensi per ciascuna delle 47 diocesi cattoliche, a sostegno di iniziative caritative e di sviluppo, lasciando intendere che tali fondi sarebbero stati gestiti in modo inadeguato.
La Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) ha risposto con una dichiarazione in cui ha definito le parole di Bemba «sorprendenti, irrispettose e minacciose»[46]. La CENCO ha chiarito che ogni diocesi ha effettivamente ricevuto 600.000 dollari, erogati in due tranche, e che tali fondi sono stati utilizzati esclusivamente per progetti sociali, con i relativi bilanci regolarmente rendicontati alla Presidenza[47].
Nel gennaio 2025, la CENCO e la Chiesa di Cristo del Congo — una federazione che riunisce 62 confessioni protestanti — hanno pubblicato una road map per la pace intitolata Patto sociale per la pace e il vivere insieme nella RDC e nei Grandi Laghi. Il documento ha ricevuto un’accoglienza fredda da parte del governo, che ha respinto in particolare la proposta di avviare un dialogo diretto con l’M23.
Nel febbraio 2025, alcuni alleati del governo hanno accusato di tradimento i leader cattolici e protestanti in seguito a un incontro con rappresentanti dell’M23 a Goma; nello stesso mese, le autorità hanno temporaneamente confiscato il passaporto dell’arcivescovo Fulgence Muteba, presidente della CENCO[48].
Sempre a febbraio, la CENCO ha messo in guardia contro i pastori che sfruttano i pulpiti delle proprie chiese per incitare alla discriminazione, all’odio e alla violenza nei confronti di altri congolesi, sulla base della loro origine, lingua o aspetto fisico. La Conferenza ha invitato i fedeli a non lasciarsi ingannare da chi predica la «caccia ai parlanti swahili» come espressione di patriottismo[49].
Nel giugno 2025, la RDC e il Ruanda hanno firmato un accordo di pace a Washington[50]. Poche settimane dopo, in Qatar, l’M23 ha sottoscritto un cessate il fuoco con il governo congolese; tuttavia, non si è impegnato a ritirarsi dai territori occupati[51].
Prospettive per la libertà religiosa
La Repubblica Democratica del Congo, nonostante la straordinaria ricchezza mineraria, continua a confrontarsi con povertà estrema, insicurezza cronica e corruzione sistemica. I conflitti armati, alimentati da numerosi gruppi ribelli — inclusi miliziani islamisti — provocano gravi violazioni dei diritti umani fondamentali, inclusa la libertà religiosa.
Il Paese sta affrontando una delle crisi umanitarie più gravi al mondo: oltre 25 milioni di persone necessitano di assistenza[52] e più di sette milioni risultano sfollate internamente[53]. Le violenze persistenti, gli abusi sessuali e lo sfruttamento, l’insicurezza alimentare, la diffusione di malattie e il collasso dei servizi pubblici essenziali hanno creato condizioni drammatiche, soprattutto nelle province orientali[54].
A causa della debolezza mostrata di fronte all’M23, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno stretto alleanze tattiche con gruppi miliziani locali, sollevando gravi preoccupazioni in merito alla responsabilità, alla protezione della popolazione civile e al futuro dei processi di pace nella regione[55].
Questo contesto compromette seriamente la libertà religiosa su tutto il territorio nazionale. Oltre all’instabilità generale, i militanti islamisti dell’Allied Democratic Forces (ADF) hanno compiuto massacri brutali prendendo di mira specificamente le comunità cristiane, con omicidi, rapimenti e la distruzione di luoghi di culto. Poiché la violenza persiste e la protezione statale rimane debole o assente in molte aree, le prospettive per la libertà religiosa nella Repubblica Democratica del Congo appaiono sempre più cupe.
Fonti